La storia dell’arte
in viaggio.
Le mostre didattiche itineranti come strumento di partecipazione critica nella Milano
degli anni Settanta
Deianira Amico
Abstract The article analyzes a traveling educational exhibition format developed in the mid-1970s within Mario De Micheli’s course at the Politecnico di Milano. Designed through a graphic-editorial approach, the project combined art history dissemination with critical reflection on modern urban change. Promoted by the Lombardy Region in the context of cultural decentralization, the exhibitions aimed to connect universities and local communities. De Micheli’s interdisciplinary team used avant-garde narratives as tools for active engagement, creating a flexible, dialogic model that influenced broader curatorial and educational practices.
Keywords Mostre didattiche / Educational Exhibitions; Decentralizzazione / Decentralization; Collettivo / Collective; Narrazione / Narrative; Dialogo / Dialogue
Deianira Amico, PhD in Storia dell’arte contemporanea, è Docente a contratto dei corsi di Storia dell’arte e Arte, Architettura e Spazio Pubblico al Politecnico di Milano. È Conservatore degli Archivi della Fondazione Corrente di Milano, dove coordina l’attività di ricerca e l’organizzazione di mostre e conferenze, e membro del Comitato Direttivo e Scientifico della rivista “Materiali di Estetica”, afferente al Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano. I suoi interessi di ricerca vertono su temi di arte e critica nella cultura del Novecento, con particolare attenzione alle questioni estetiche legate alle relazioni tra arti figurative, letteratura e politica, nonché alla produzione artistica per la grafica, il teatro e l’architettura.
Negli anni Settanta, l’Italia conobbe una fase di trasformazioni politiche e istituzionali, i cui effetti incisero sulle strategie di organizzazione e promozione della cultura. L’istituzione dei Consigli regionali nel 1970 segnò un momento decisivo verso una maggiore permeabilità tra Stato e società civile, incoraggiando sperimentazioni in chiave decentrata. In tale contesto, la Regione Lombardia promosse politiche culturali orientate a mitigare il tradizionale centralismo milanese, favorendo – nel segno della democratizzazione della cultura – nuove forme di cooperazione tra il mondo accademico e realtà territoriali diffuse.1 Gli atti del convegno Regione, enti locali, formazioni sociali e partecipazione, svoltosi nel Consiglio regionale nell’aprile del 1976, testimoniano come i rapporti con l’Università e la ricerca fossero uno degli snodi principali all’ordine del giorno: qui emerse con chiarezza la critica, mossa dalle Università, all’assenza di un approccio «partecipativo» nella definizione dei programmi culturali dell’amministrazione pubblica, come sottolineò Carlo Smuraglia, all’epoca Vicepresidente del Consiglio regionale.2 La questione del difficile dialogo tra autonomie locali e autonomie universitarie si rivelò tuttavia complessa e reciproca: da un lato, la Regione non disponeva ancora di una politica di ricerca strutturata, pur avendo istituito l’I.Re.R. (Istituto Regionale di Ricerca) nel 1974; dall’altro, l’Università non mostrava sufficiente apertura nei confronti delle istanze politiche proprie delle autonomie locali. Occorreva dunque lavorare all’elaborazione di programmi annuali condivisi e a una «sintonizzazione di linguaggi»3 fra istituzioni regionali e mondo accademico, una prospettiva in cui la parola partecipazione acquisiva un valore dirimente. Questa posizione fu sostenuta con convinzione anche dal sindaco di Milano, Aldo Aniasi, che indicò lo strumento della «consultazione» come mezzo per promuovere una politica realmente «diffusa».4
Fu in questa cornice che prese forma il caso espositivo qui oggetto di indagine: una mostra itinerante a vocazione didattica, progettata secondo un registro grafico-editoriale corrispondente alla struttura del catalogo. Questo impianto, orientato alla divulgazione della storia dell’arte, si intrecciò con uno sguardo critico rivolto alle trasformazioni sociali che interessavano la città contemporanea.
Sostenuto dall’Assessorato regionale e maturato all’interno del corso tenuto da Mario De Micheli presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, il progetto coinvolse diversi gruppi di studenti in un itinerario di ricerca fondato su pratiche collettive e interdisciplinari.5
Il ricorso a fonti urbanistiche, sociologiche e alle testimonianze dirette di artisti fu affiancato dall’analisi di materiali tratti dalla letteratura, dalla poesia e dalle forme di espressione popolare, come la canzone. Ispirandosi all’idea di avanguardia come strumento di intervento critico sul presente, le mostre didattiche si configurarono come una sorta di triplice viaggio: fisico, nello spostamento da uno spazio espositivo a un altro; concettuale, nell’aprire le fonti iconografiche e i temi trattatati alle questioni urbanistiche e sociali; e infine politico, impiegando la mostra come dispositivo per innescare processi di dialogo e apprendimento collettivo.
Il collettivo come metodo
Tra luglio e settembre del 1976 uscirono i cataloghi de La città ostile. La realtà urbana nelle sue contraddizioni storiche e de Le tendenze dell’arte. Dal neoclassicismo alle neoavanguardie, entrambi contraddistinti in colophon dalla dicitura «Mostra didattica itinerante della “Ricerca De Micheli”», attestazione del legame fra queste iniziative e la prassi didattica sviluppata da Mario De Micheli al Politecnico di Milano. La cosiddetta «Ricerca De Micheli» costituiva infatti un laboratorio sperimentale interno al corso di Letteratura italiana:6 un gruppo stabile di studenti, guidato dal docente, selezionava immagini e testi, concepiva l’allestimento itinerante e redigeva i cataloghi adottando una metodologia collegiale, coerente con le problematiche affrontate nel ciclo di lezioni. Nella premessa ai cataloghi lo stesso De Micheli sottolineò la valenza formativa del progetto, ricordando che «il gruppo di studenti che ha portato a termine sia la presente pubblicazione sia la mostra si è laureato presentando questa esperienza come contributo conclusivo del proprio percorso di studi».7
Nel primo catalogo, La città ostile [fig. 1], il rapporto conflittuale tra artista e ambiente urbano – indagato dalla rivoluzione industriale all’epoca contemporanea – emerge già dalla copertina, che ritrae un’immagine di protesta le cui scritte bandite nei cartelloni rimandano a una dimensione esplicitamente politica: se sul fronte si legge il contesto ideologico di riferimento («Rivendichiamo una città per gli uomini e non per il profitto»), sul retro compare la concreta richiesta di un’azione di governo («Finanziamenti adeguati per i PEEP», ovvero i Piani per l’Edilizia Economica Popolare).
fig. 1 Copertina di La città ostile. La realtà urbana nelle sue contraddizioni storiche, 1976.
Le tendenze dell’arte. Dal neoclassicismo alle neoavanguardie [fig. 2], concepito come un vero e proprio atlante della storia dell’arte, dispiegava il suo orizzonte dal periodo neoclassico fino ai più recenti fenomeni di muralismo nei quartieri milanesi. La composizione a mosaico della copertina e del retro ne esprimeva visivamente la struttura “a dizionario”, in cui ogni movimento o tendenza era presentato in forma sintetica e autonoma. Tuttavia, al di sotto di questa impostazione didascalica, si celava un intento critico: come esplicitato nell’introduzione del catalogo, l’obiettivo era infatti mettere in risalto il «rapporto spesso contraddittorio tra momento culturale, espressione artistica e situazione sociale, politica ed economica».8 La narrazione storica, dunque, intendeva proporre un’analisi delle tensioni e dei conflitti che hanno caratterizzato l’arte nel corso dei secoli, seguendo la medesima prospettiva de La città ostile: l’arte come specchio delle tensioni sociali di ogni epoca e, al contempo, come veicolo di un potenziale trasformativo. Un’impostazione, questa, che Mario De Micheli aveva già delineato agli inizi degli anni Settanta.9
fig. 2 Copertina di Le tendenze dell’arte. Dal neoclassicismo alle neoavanguardie, 1976.
Pur senza condividere un tema comune, i due progetti espositivi manifestavano una chiara coerenza metodologica: nelle rispettive introduzioni, quasi sovrapponibili, De Micheli dichiarava infatti che la mostra itinerante era la formula «scelta dalla Regione Lombardia quale esempio di impresa didattica da far conoscere anche fuori d’Italia»;10 un intento che tuttavia non ebbe seguito, giacché né La città ostile né Le tendenze dell’arte superarono mai i confini nazionali.
In questa cornice, si sottolineava come sia la ricerca, sia l’allestimento fossero espressione della «scelta metodologica del collettivo»,11 con il lavoro degli studenti di Architettura – dalla selezione delle fonti iconografiche all’impaginazione dei pannelli, poi presentati come prova finale di laurea – che si integrava con le prassi laboratoriali della Facoltà. L’approccio si ispirava al principio del «montaggio didattico» introdotto da Guido Canella nel Corso di Elementi della Composizione e divenuto prassi consolidata a seguito dell’occupazione del Politecnico negli anni della contestazione.12
L’adozione di «gruppi organizzati di ricerca scientifica assunta come strumento formativo per una didattica di massa»13 mirava infatti, da un lato, a rispondere all’esigenza politica di ampliare l’accesso alla conoscenza; dall’altro, a contrastare, in senso critico, l’impatto di una società dominata dalle immagini. Riprendendo le riflessioni di Walter Benjamin e Theodor W. Adorno, quest’orientamento intendeva scongiurare il rischio di ridurre la coscienza a puro consumo visivo, trasformando gli individui in semplici spettatori. L’organizzazione di gruppi di ricerca collettiva ambiva, dunque, a sovvertire questa passività, favorendo un’attitudine interpretativa e trasformativa rispetto al presente, come testimoniato anche dalle mostre sulla città progettate dalla Facoltà di Architettura nell’anno accademico 1973/1974.14
Da qui emerge il rilievo del programma di mostre didattiche itineranti: esso presupponeva che anche la storiografia artistica si dispiegasse sul territorio, assecondando un intento diffusivo e insieme «politico-poetico». Già Giulio Carlo Argan, nell’articolo Le ragioni del gruppo, sostenne apertamente questa impostazione, individuando nel lavoro collettivo la risposta più congrua alla massificazione dell’individuo nella società capitalistica incentrata su immagine e consumo.15 Come sottolineava uno degli studenti del Politecnico coinvolti nel progetto, obiettivo delle iniziative era operare in «concreti rapporti con quegli organismi culturali di base che agiscono a vari livelli sul territorio».16 Benché, in origine, il progetto mirasse a estendersi oltre i confini nazionali, le politiche di decentramento amministrativo ne favorirono la circolazione in un raggio d’azione principalmente lombardo, ma in luoghi in cui la storia dell’arte poteva presentarsi quasi come una disciplina straniera, poiché distanti dai centri cittadini.
La città ostile. Viaggio nella periferia milanese
La mostra La città ostile. La realtà urbana nelle sue contraddizioni storiche, presentata nel luglio del 1976 dal gruppo di ricerca coordinato da Attilio Pizzigoni,17 segnò l’inizio del percorso espositivo avviato presso il Politecnico di Milano sotto la supervisione di Mario De Micheli. L’intento principale fu quello di indagare il rapporto, spesso conflittuale, fra urbanizzazione e trasformazioni sociali, mettendo in rilievo come il processo di costruzione della città, dalla rivoluzione industriale alla contemporaneità, avesse suscitato mobilitazioni civiche e rivendicazioni collettive.
L’allestimento consisteva in un assemblaggio artigianale di testi e fotografie in bianco e nero, applicati su pannelli di MDF la cui grafica riprendeva l’impostazione del catalogo omonimo, senza tuttavia replicarlo fedelmente. La produzione materiale dei pannelli si svolse presso il laboratorio grafico dell’Istituto Grafico P. Luigi Monti di Saronno, che mise a disposizione le proprie attrezzature tipografiche, sottolineando il coinvolgimento diretto di un istituto scolastico periferico non solo come luogo espositivo, ma in quanto presenza attiva nella realizzazione.18 Sul piano dei contenuti, il percorso espositivo si apriva con una disamina sui fenomeni di crescita della città europea nell’Ottocento, soffermandosi in particolare sulla rappresentazione di Londra nelle incisioni di Gustave Doré e sulla Parigi di Honoré Daumier. Successivamente, l’itinerario procedeva nel primo Novecento, concentrandosi sulle diverse avanguardie storiche e mettendo in luce l’alternanza tra l’efficienza costruttivista e l’alienazione espressionista [fig. 3]. Ogni sezione era contraddistinta da titoli tematici di impatto comunicativo (La città efficiente, La città dinamica, La città oppressiva, ecc.), e lo sviluppo espositivo, impostato in ordine cronologico, accostava riproduzioni di opere d’arte a poesie e testi socioeconomici.19 Negli ultimi pannelli, l’attenzione si spostava sul ruolo esercitato dalla popolazione nelle trasformazioni urbane, a sottolineare come la genesi della città non fosse prerogativa esclusiva di tecnici o urbanisti, bensì un processo modellato dall’azione di molteplici soggetti collettivi.
fig. 3 Sezione “La città efficiente”: pagina del catalogo
ed esempio di contenuto espositivo nella mostra La città ostile.
Un esempio significativo di questa prospettiva emergeva nella sezione Il conflitto urbano, dove figurava la riproduzione di Donna di Milano-Corea di Giuseppe Guerreschi [fig. 4]. Sebbene il titolo dell’opera potesse inizialmente suggerire un riferimento alla guerra di Corea, esso richiamava invece la parola coree, termine del gergo popolare milanese che designava gli insediamenti marginali sorti durante il boom economico, abitati per lo più da immigrati interni provenienti dal Mezzogiorno, come testimoniato dall’inchiesta promossa da Danilo Dolci e Giangiacomo Feltrinelli pubblicata nel 1960 con la cura di Franco Alasia e Danilo Montaldi.20 Il dipinto di Guerreschi, realizzato con una tecnica che ricorda il fotomontaggio, restituiva in forma frammentaria una realtà urbana precaria, con baracche, cantieri incompiuti e strade provvisorie fuse con la figura umana, rimarcando la condizione di marginalità tipica di questi quartieri.
Il filo conduttore degli ultimi pannelli della mostra si fondava sull’idea di un viaggio intra-nazionale dentro la metropoli milanese, rivelandone criticità e conflitti sociali. Tematiche quali il Diritto alla città, ispirate alle tesi di Henri Lefebvre,21 offrivano ampio spazio alle mobilitazioni collettive, documentate da fotografie che ritraggono manifestazioni nelle aree periferiche, i cui slogan risultano chiaramente leggibili nelle immagini, testimonianza di quanto l’uso di questi materiali fosse funzionale alla trasmissione di un messaggio politico. Questi scatti raccolti attraverso fonti eterogenee – comitati di cittadini, circoli culturali, iniziative personali degli studenti22 – erano corredati da una titolazione essenziale (Milano. Dibattito in piazza…, Momenti di lotta al…) o da didascalie esplicitamente politiche, come Il Gallaratese vuol decidere il suo futuro [fig. 5], per essere collocati su pannelli dalle denominazioni di impatto comunicativo (Emarginazione, Il mito della città, La violenza della città). Sottolineavano, in questo modo, il ruolo delle contestazioni nei quartieri in cui si concentravano le problematiche della residenza popolare, delle demolizioni e della terziarizzazione minacciata da interessi speculativi, temi centrali nella politica milanese del Partito Socialista e del PCI.23
fig. 4 Giuseppe Guerreschi, Donna di Milano-Corea, 1960, riproduzione tratta dalla sezione “Il conflitto urbano”, mostra La città ostile.
fig. 5 “Il Gallaratese vuol decidere il suo futuro”, riproduzione tratta dalla sezione “La violenza della città”, mostra La città ostile.
Le immagini erano esposte senza riportare il nome dell’autore: questo anonimato corrisponde alla visione di De Micheli della fotografia come strumento di lettura critica della realtà, un «mezzo di analisi» e «motivo ideologico visivo» in grado di far emergere le contraddizioni del contesto urbano.24 La città ostile si configurava così come un dispositivo aperto a una narrazione collettiva, ponendo al centro l’idea del viaggio interno alla città e rivelando come gli spostamenti, talvolta invisibili, all’interno del tessuto urbano, potessero costituire luoghi di conflitto e di rivendicazione. In un clima di rapide trasformazioni, questa mostra didattica itinerante – concepita come viaggio militante – si proponeva di avvicinarsi ai luoghi del cambiamento, raccogliendone le tensioni e restituendo al pubblico la possibilità di diventare interlocutore critico e co-autore, in ultima analisi, di un rinnovato discorso culturale.
Itinerario nelle tendenze dell’arte: educazione e dibattito critico nei luoghi dell’apprendimento
Parallelamente all’esperienza de La città ostile, prendeva forma il progetto espositivo Le tendenze dell’arte. Dal neoclassicismo alle neoavanguardie. Curata da un gruppo di ricerca coordinato da Anty Pansera,25 il percorso comprendeva ventotto pannelli, corrispondenti alle pagine del catalogo, così da istituire un’assoluta coincidenza fra libro e allestimento: entrambi vennero impaginati dallo studio MID Design, già coinvolto nella grafica della rivista “ArteContro”, dove ricorreva la caratteristica banda rossa verticale. Questa collaborazione con professionisti della comunicazione visiva conferì al progetto un linguaggio capace di integrare la dimensione storica con un impianto iconografico incisivo. A differenza de La città ostile, caratterizzata da un’impronta grafica più artigianale, l’intervento del gruppo MID rese l’allestimento visivamente strutturato: i pannelli risultavano infatti accuratamente allineati e la chiarezza compositiva si rifletteva anche nelle citazioni finali, brevi estratti poetici o enunciazioni programmatiche che sintetizzavano i principi di ciascun movimento trattato [fig. 6]. Le immagini godevano di maggiore evidenza rispetto alla mostra La città ostile e, nonostante la presenza di blocchi di testo, la gerarchia tra titolo, sottotitolo e corpo del testo si distingueva con immediatezza; anche il taglio tipografico fu pensato per contestualizzare il fenomeno artistico, equilibrando l’impaginazione e rimarcandone l’aspetto didattico. In AnniTrenta, celebre mostra del 1982, lo studio MID sviluppò questo modello, trasformando gli interi spazi della Galleria del Sagrato del Duomo in una architettura dell’informazione costruita da pannelli modulari.26 Lo stesso studio MID esplicitava all’interno del catalogo Le tendenze dell’arte la propria dichiarazione di poetica, vale a dire la volontà di creare un «campo visuale» mediante una «metodologia generale», in grado di generare differenti valori semiotici a seconda del contesto, dal supporto espositivo al libro, per offrire un’immediata riconoscibilità identitaria.27
fig. 6 Pannello 1 della mostra
Le tendenze dell’arte. Dal neoclassicismo
alle neoavanguardie, 1976.
Nella fase di produzione, il gruppo di studenti – affiancati da Alfonso Grassi – si servì di macchine per eliocopie allestite in un laboratorio nei pressi della Galleria Ciovasso di Giovanni Billari. Questo processo, condotto con precisione, prevedeva che fotografie a colori e testi, dapprima montati su pannello, fossero successivamente ricomposti e fotografati in un’unica lastra, adottando specifici accorgimenti di ripresa. Immagini e parole si fondevano così in un singolo supporto cartaceo, successivamente fissato su pannelli di MDF incernierati a libro e disposti in forma di paravento, acquisendo la fisionomia di un giornale leggibile fronte-retro.28 Il metodo di progettazione era inteso come «momento di discussione», ricorda Ezio Riva, finalizzato a «mettere insieme un sistema espositivo economico, montabile e smontabile, trasportabile», coerente quindi con la natura itinerante del progetto.29 La scansione modulare dei pannelli configura l’allestimento nella dimensione di una guida di viaggio distesa nello spazio: un dispositivo che sollecita il visitatore a muoversi, proprio come lungo un itinerario. Ciascun elemento funziona da stazione con coordinate storico-artistiche precise; la sequenza, attentamente orchestrata, disegna una traiettoria in cui l’avanzare del pubblico diventa esercizio di lettura critica.
Dal punto di vista tematico, l’itinerario proposto ne Le tendenze dell’arte aveva inizio con la Rivoluzione francese e si concludeva con le neoavanguardie, ponendo in evidenza la continua ridefinizione del ruolo sociale e politico dell’artista, in relazione anche ai diritti dei lavoratori, fenomeno che trovò particolare risonanza negli stessi anni nell’attività del Sindacato degli artisti milanesi.30 Numerose citazioni d’autore sostenevano questa interpretazione, tratte in parte dal volume di Mario De Micheli Avanguardie artistiche del Novecento, su cui gli studenti del Politecnico avevano fondato gran parte della loro formazione, e da diversi testi pubblicati su riviste e cataloghi di mostre contemporanee.31 Ne risultava quindi un metodo analitico che privilegiava il contatto diretto con le parole degli artisti stessi. Gli argomenti della mostra erano stati studiati per favorire l’organizzazione di dibattiti e, dunque, incoraggiare la partecipazione del pubblico. In questa prospettiva, l’idea di viaggio culturale alla base dell’esposizione si traduceva in una circolazione di esperienze, in cui i pannelli rappresentavano il punto di partenza per un confronto promosso anche dal dialogo con le comunità locali. I curatori evidenziavano, ad esempio, come «uno dei punti più accesi e stimolanti dei dibattiti sviluppatisi nei nostri incontri con gli studenti è quello relativo al ruolo dell’insegnamento artistico e alle proposte di riforma per le scuole d’arte».32
L’operazione rivelava, dunque, una decisa intenzione critica: l’allestimento era stato concepito come un dispositivo in grado di innescare riflessioni e proposte nell’ambito sociale. La tematica della scuola, ad esempio, assumeva un particolare rilievo in un periodo caratterizzato da un acceso dibattito nazionale sull’integrazione tra saperi umanistici (letteratura, storia, filosofia) e settori creativi generalmente considerati più tecnici (arte, musica, teatro).33 Inoltre, si inseriva nel quadro di una più ampia crisi di «insufficienza di contenuti culturali, metodici, attrezzature carenti», come aveva evidenziato il filosofo Emilio Renzi in una sua relazione sugli istituti milanesi, dove segnalava lo scollamento tra la didattica e i «comportamenti collettivi» che si erano espressi nell’università ma non trovavano riscontro nelle scuole medie superiori.34
Tra le opere riprodotte sui pannelli espositivi spiccava Scuola di Mirella Bentivoglio [fig. 7], realizzata con una targa e l’asfalto di un marciapiede, la quale esprimeva il legame fra dimensione educativa e artistica. L’adozione di materiali concreti (targhetta e manto stradale) radicava l’opera nello spazio urbano, evocando una quotidianità collettiva. La stessa Bentivoglio sottolineava, a commento dell’opera, come «il mio lavoro, iniziato all’interno del linguaggio, con l’analisi-metamorfosi della parola, si è andato man mano restringendo all’uso di poche forme e materie semplici, che scelgo per la loro capacità comunicativa, sul piano simbolico».35 Lo smembramento della parola implicava, inoltre, la necessità di rimettere in discussione i meccanismi consolidati di trasmissione del sapere, evidenziando il ruolo sostanziale della cultura estetica nel processo formativo. La ricerca verbo‑visuale di Bentivoglio risultava pienamente coerente con un’esposizione che coniugava testi e immagini, offrendo al pubblico un’esperienza insieme linguistica e iconografica.36 Trovava inoltre un riscontro nel contemporaneo fenomeno del muralismo: nell’ultimo pannello della mostra si documentavano infatti gli interventi realizzati dagli studenti sui muri dell’Istituto professionale Umanitaria (con l’iscrizione «Ora e sempre Resistenza») nonché l’opera collettiva eseguita in collaborazione con le organizzazioni culturali e sindacali nella Casa del portuale di Venezia (I lavoratori portuali incrociano le braccia per boicottare le navi dei generali Franco e Pinochet, 15-16-17 ottobre 1975). Anche in questo caso, come in La città ostile, l’immagine si alimentava del linguaggio della parola, poiché la mostra era intesa come occasione di confronto.
fig. 7 Mirella Bentivoglio, Scuola, 1973.
Provando a delineare una geografia della circolazione della mostra, partendo dal centro cittadino, l’esposizione fu presentata nei luoghi più vicini alla vita politica, come i Consigli di Zona di Milano; in nuovi centri culturali come la Fabbrica di comunicazione militante al S. Carpofaro; in biblioteche periferiche – ad esempio la Biblioteca Calvairate – e in aree metropolitane quali il Centro scolastico di Besana Brianza. Si estese poi alle principali città lombarde (Novara, Busto Arsizio, Varese) e, al di fuori della Regione, raggiunse Urbino e Bolzano nel corso del 1977, ospitata negli ambienti scolastici.37 La rivista “ArteContro” costituì l’unica eco sulla stampa,38 pubblicando l’elenco delle sedi toccate dalla mostra insieme a una fotografia dell’allestimento nella sala tiepolesca del Liceo Manzoni di Milano [fig. 8], unica documentazione dell’attenzione della stampa. Chi scriveva l’articolo non firmato ricordava come gli incontri con gli studenti fossero diventati occasione per «avviare processi di ricerca che, a partire dai temi generali enunciati problematicamente nella mostra (il rapporto arte-società, arte-ambiente, arte-produzione industriale) si applichino in concreto alle realtà singole e differenziate presenti sul territorio».39 Il metodo della mostra-dibattito si collocava in un contesto di politica culturale che, come osservava Tino Vaglieri, consentiva di infrangere «le barriere imposte dal mercato».40 Secondo Vittorio Spinazzola, inoltre, questo approccio si rivelava complementare al Festival dell’Unità, poiché condivideva l’ideale di una «creatività collettiva»41 che, grazie all’intrinseca dimensione del viaggio, poteva esprimersi pienamente. In questo senso, le mostre didattiche itineranti operavano come strumenti di trasmissione di posizioni critiche: la loro costante migrazione tra scuole, biblioteche e spazi assembleari innescava confronti e co-produzioni di saperi, poiché i pannelli non si limitavano a informare, ma favorivano discussioni, stimolate dalla percezione di questioni condivise – dalla trasformazione urbana al valore formativo dell’arte – che l’esposizione metteva in risonanza nei differenti contesti.
fig. 8 Allestimento della mostra Le tendenze dell’arte
nella sala tiepolesca del Liceo Manzoni di Milano.
Sulla tipologia della mostra didattica itinerante come genere espositivo per la costruzione politica e culturale della partecipazione
Le iniziative espositive avviate dal Politecnico di Milano delinearono una metodologia che trovò riscontri al di fuori del coinvolgimento diretto dell’Ateneo nelle politiche di decentramento amministrativo. Tra il 1978 e il 1981 la Fondazione Corrente – grazie al ruolo di Mario De Micheli come Segretario Generale dell’Ente – presentò tre mostre che adottavano analoghi: Gli anni di Corrente (1978), allestita da Cesare Colombo; Gli anni del Politecnico (1979) e Gli anni del Realismo (1981), impaginate dallo studio Origoni Steiner.42
I progetti perseguivano il medesimo obiettivo didattico: tradurre il racconto storico‑artistico in una forma di comunicazione visiva e documentaria. L’esperienza maturata nei corsi universitari trovava ora una seconda tappa espositiva nelle politiche culturali dell’ente milanese, concretizzandosi in pannelli dove immagini a colori, fotografie d’epoca, citazioni poetiche e testi critici si intrecciavano in un linguaggio accessibile e al tempo stesso rigoroso. Tuttavia, il taglio grafico si differenziava rispetto a quello delle mostre allestite dagli studenti del Politecnico: mentre La città ostile e Le tendenze dell’arte si contraddistinguevano per l’ampio spazio concesso ai testi, in un serrato dialogo fra parola e immagine, le esposizioni della Fondazione Corrente privilegiarono una fruizione informativa più immediata, incentrata sul confronto diretto con i materiali. Il visitatore era invitato a sfogliare documenti e fotografie, a individuare rapidamente titoli e didascalie, a seguire un filo narrativo sostenuto da testi meno corposi [fig. 9]. Al di là delle diversità strutturali, rimase inalterata l’architettura concettuale: l’uso di brani poetici o di citazioni degli artisti, la cura nel bilanciare la prospettiva cronologica con quella tematica e la possibilità, in ciascun pannello, di seguire lo sviluppo di uno specifico argomento, lasciando al fruitore la libertà di orientare la propria indagine. Queste esperienze condividevano inoltre un duplice registro della comunicazione culturale: da un lato, si puntava a una divulgazione orizzontale, mirata a limitare la distanza gerarchica fra esperti e pubblico; dall’altro, l’analisi storiografica – in un’ottica di critica d’arte – prendeva in esame anche fattori extra-artistici (il quadro politico, le condizioni economiche, i movimenti di idee, l’attualità), valorizzando il dibattito come elemento performativo dell’esposizione.
fig. 9 Pannello 11 della mostra
Gli anni del Realismo, 1981.
La traiettoria completa di queste mostre resta ancora da ricostruire. Le carte d’archivio restituiscono un reticolo di tappe e nodi di discussione, ma solo un’indagine sistematica – incrociando fondi documentari e testimonianze orali – potrà chiarire i modi di ricezione e la reale incidenza che tali allestimenti ebbero nei territori attraversati.43 Una ricerca in questa direzione potrebbe interrogarsi sulla genealogia delle mostre didattiche itineranti maturate a partire dall’esperienza del Politecnico di Milano e sul loro impatto, in quanto genere capace di superare la pura funzione divulgativa per collocare la narrazione storico-artistica entro un orizzonte critico più ampio, nella vicenda degli allestimenti a finalità pedagogica. Sebbene eredi delle pratiche sviluppatesi attorno al Sessantotto, tese a colmare la distanza fra cultura «alta» e «popolare», queste esposizioni non assecondarono la logica del consumo di «tempo libero»,44 ma si instaurarono un tempo formativo, orientato all’educazione civica. Le esperienze milanesi degli anni Settanta dimostrano infatti come la storia dell’arte possa diventare strada di consapevolezza del presente, evidenziando il potenziale del viaggio – materiale e concettuale – quale metodo: attraverso lo spostamento, il discorso artistico si dilata da repertorio disciplinare a spazio di confronto collettivo sull’attualità.
Una ricostruzione storiografica organica delle mostre didattiche itineranti resta ancora da elaborare; un simile censimento permetterebbe di riconoscere in queste esperienze l’avvio di una scuola progettuale, nel quale ricerca storico-artistica, sperimentazione grafica, obiettivi educativi e impegno pubblico confluiscono in un unico dispositivo comunicativo. I casi qui esaminati, tutti riferibili alla figura di Mario De Micheli, costituiscono il punto di partenza di una mappa in via di definizione: si pensi, per esempio, alla fortuna delle «gallerie didattiche» coeve, fra cui la mostra su Giorgione del 1978 impaginata da Franco Origoni,45 concepita come sequenza modulare di testi e immagini strutturalmente vocata al viaggio. Questi episodi, disseminati in una geografia lacunosa, richiedono una ricognizione coordinata che intrecci fondi archivistici e storia orale, così da valutarne incidenza, limiti e potenzialità per restituire la portata di un modello espositivo che ha posto la didattica al centro del progetto e ha fatto della partecipazione il proprio orizzonte operativo.
Note
1. Cfr. Maurizio Degl’Innocenti, L’avvento della Regione, 1970-1975. Problemi e materiali, Lacaita, Manduria, 2004.
2. Carlo Smuraglia, “L’esperienza partecipativa della prima legislatura: bilancio, critiche e prospettive”, in Atti del convegno Regione, enti locali, formazioni sociali e partecipazione, Consiglio regionale della Lombardia, Milano, 2-3 aprile 1976, pp. 27-28.
3. La questione è affrontata nello specifico da Bruno Colle, Direttore dell’I.Re.R, nella relazione Regione, Università e Ricerca, in Ivi, pp. 139-144.
4. Aldo Aniasi, La partecipazione degli Enti locali e delle formazioni sociali alla programmazione della Regione, in Ivi, pp. 51-60.
5. Il sostegno della Regione Lombardia è indicato nel colophon dei cataloghi. L’Assessorato era di Alessandro Fontana, nella Giunta a guida Democrazia Cristiana; nell’Archivio Storico Regione Lombardia non sono tuttavia conservati documenti relativi all’organizzazione di questa iniziativa. Cfr. Milano, Archivio Storico Regione Lombardia, Assessore Alessandro Fontana – corrispondenza per l’anno 1975, sc. 8–1.
6. Mario De Micheli ottenne il primo incarico al Politecnico nell’a.a. 1971-1972 e vi insegnò continuativamente fino al 1984: Milano, Politecnico di Milano, Archivio Storico di Ateneo (d’ora in poi POLIMI), De Micheli Mario, A.G. 6756, Ministero della Pubblica Istruzione, Stato di servizio di Mario De Micheli.
7. Cfr. Mario De Micheli, “Le ragioni di questa mostra”, in Le Tendenze dell’arte. Dal neoclassicismo alle neoavanguardie, (catalogo della mostra, Milano, Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, settembre 1976), Facoltà di Architettura del Politecnico, Regione Lombardia, Milano, 1976.
8. Le tendenze dell’arte, 1976. Questa fu coordinata da Anty Pansera e curata da Gabriella Bianchi, Letizia Caruzzo, Paolo Crola, Isa Ghianda, Paolo Rancati, Ezio Riva.
9. Cfr. Mario De Micheli, “Saggio Introduttivo”, in Mario De Micheli (a cura di), ArteContro 1945-1970. Dal realismo alla contestazione, Vangelista, Milano, 1970, pp. 9-19.
10. POLIMI, De Micheli Mario, A.G. 6756, Verbale del Consiglio della Facoltà di Architettura del 26 settembre 1983.
11. La città ostile. La realtà urbana nelle sue contraddizioni storiche, (catalogo della mostra, Milano, Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, luglio 1976), Facoltà di Architettura del Politecnico, Regione Lombardia, Milano, 1976. La mostra fu coordinata da Attilio Pizzigoni e curata da Maria Angela Asperges, Liana Colombo, Paola Dell’Acqua, Bruno A. Di Gennaro, Grazia Italiano, Mariarosa Mutti, Nazzaro Vignati, Gabriella Villa, Sandro Vimercati.
12. Questi risalgono al 1966. Si rimanda alle immagini pubblicate in Fiorella Vanini (a cura di), La rivoluzione culturale: la Facoltà di architettura del Politecnico di Milano 1963-1974, (catalogo della mostra, Milano, Facoltà di architettura civile, 23 novembre – 16 dicembre 2009), Politecnico di Milano University Press, Milano, 2009, p. 35.
13. Verbale del Consiglio di Facoltà n. 186/A, Riguardo la sperimentazione condotta all’interno della Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, 23 marzo 1968, in Ivi, p. 40.
14. Tra queste si ricordano: Mostra sulla città, dal 29 gennaio 1974 al 28 febbraio 1974, organizzata dal Movimento studentesco; Per quale Milano: conoscere la storia di Milano per cambiare la città, a cura di Paolo Farina e Alberto Grimoldi, mostra coordinata da Virgilio Vercelloni, 1974; Mostra crescente sulla città, coordinata da Vittorio Gregotti, 1974, in Ivi, p.79.
15. Giulio Carlo Argan, “Le ragioni del gruppo”, Il Messaggero, 21 settembre 1963. Sull’argomento Lucilla Meloni, Le ragioni del gruppo. Un percorso tra gruppi, collettivi, sigle, comunità nell’arte in Italia dal 1945 al 2000, postmedia books, Milano, 2020.
16. «Progettare questa mostra, per noi studenti di architettura, ha significato dare una risposta in concreto alla linea didattico-culturale che la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano sta difficoltosamente portando avanti, scontando inevitabili contraddizioni, da alcuni anni. La mostra si inserisce nel decentramento Culturale promosso dalla Regione ma tenta anche di costituire concreti rapporti con quegli organismi culturali di base che agiscono a vari livelli sul territorio. Assistiamo difatti in questi ultimi anni al crescere e al consolidarsi di una cultura nuova generalizzata, che si esprime in varie forme, anche operativamente (mobilitazioni, dibattiti, sperimentazione, etc.) e che testimonia la volontà di affrontare criticamente le contraddizioni della realtà. […] Il nostro lavoro […] si prefigge di instaurare un rapporto dialettico con le singole realtà con cui viene a contatto: il recupero in chiave critica di un contributo storico più generale diviene uno strumento di conoscenza e di intervento nel presente». Cfr. “Le tendenze dell’arte dal neoclassicismo alle neoavanguardie. Una mostra itinerante e una proposta didattica”, ArteContro, a. V, n. 7, 1977, p. 45.
17. Pizzigoni coordinò anche la mostra, di cui non si conserva documentazione visiva, Milano, una storia, riconducibile al Corso di De Micheli intitolato Milano 1870/1920: aspetti della cultura positivista e d’avanguardia.
18. Sul catalogo è riportata l’informazione della stampa presso la Scuola grafica P. Luigi Monti, Saronno. Riguardo il processo di montaggio che avvenne nei locali della scuola la testimonianza è Attilio Pizzigoni, in occasione dell’intervista condotta dalla scrivente a Bergamo, il 20 gennaio 2025.
19. Tra queste si segnalano: Luigi Benevolo, Origine dell’urbanistica moderna, Laterza, Bari, 1972; François Choay, La città: utopia e realtà, Einaudi, Torino, 1973; Friedrich Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra, Editori Riuniti, Roma, 1973; Reyner Banham, Architettura della prima età della macchina, Calderini, Bologna, 1970; Raymond Williams, Culture and Society, Einaudi, Torino, 1968; Antonio Kopp, Città e rivoluzione, Feltrinelli, Milano, 1971; Strumenti della cultura marxista per la critica architettonica e urbanistica – Antologia 1, Gruppo di ricerca Portoghesi, Boradori, Gavinelli, Samsa, Facoltà di Architettura, Milano, 1969-1970; Henri Lefebvre, Il diritto alla città, Marsilio, Padova, 1970; Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, Einaudi, Torino, 1952; Antonio Gramsci, La questione meridionale, Editori Riuniti, Roma, 1969; Enzo Golino, Letteratura e classi sociali, Laterza, Bari, 1967; Giovanni Campos Venuti, Amministrare l’urbanistica, Einaudi, Torino, 1967; Giovanni Elia, Il conflitto urbano, Pacini, Pisa, 1974.
20. Franco Alasia, operaio presso la Breda, su suggerimento di Danilo Dolci raccolse le interviste oggetto dell’inchiesta Milano, Corea, pubblicata originariamente da Feltrinelli nel 1960. Per la presentazione del volume, la casa editrice affidò la stesura di un saggio introduttivo al giovane sociologo Danilo Montaldi, il quale, analizzando il materiale raccolto, evidenziò le principali tematiche emerse: «Da questo materiale emerge una serie di questioni: le conseguenze della guerra, la trasformazione sociale, la crisi agraria, la struttura economica, la città…». Cfr. Franco Alasia e Danilo Montaldi (a cura di), Milano, Corea. Inchiesta sugli immigrati negli anni del «miracolo» (1960), Donzelli Editore, Roma, 2010.
21. Sulla problematica ricezione del volume Le droit à la ville (tradotto per Marsilio nel 1970), si veda Guido Borelli, “Henri Lefebvre: un marxista nello spazio. ‘Ravi de vous revoir en Italie, M. Lefebvre’”, in Sociologia Urbana e Rurale, n. 118, 2019, pp. 7-9. Borelli sottolinea come il pensiero dell’intellettuale francese sia stato spesso frainteso o disgiunto dalla sua paternità originaria: emblematica, in tal senso, è la pubblicazione di Giuliano Della Pergola, Diritto alla città e lotte urbane (1974), che adottò il sintagma “diritto alla città” nel dibattito sui movimenti e sulle analisi urbane, senza tuttavia citare direttamente Lefebvre. Si noti, tuttavia, che nella bibliografia curata dagli studenti del gruppo di ricerca coordinato da De Micheli, il riferimento a Lefebvre appare indicato chiaramente.
22. La partecipazione diretta del gruppo di ricerca alle campagne fotografiche è testimoniata da Attilio Pizzigoni, in occasione dell’intervista condotta da chi scrive a Bergamo, il 20 gennaio 2025.
23. Si rimanda al paragrafo di Arturo Majocchi, Decentramento, urbanistica e lotte per la casa, in Umberto Dragone (a cura di), Decentramento urbano e democrazia. Milano, Bologna, Roma, Torino, Pavia, Feltrinelli, Milano, 1975, pp. 102-122. La pubblicazione, con prefazione a cura di Aldo Aniasi, nasceva nell’ambito delle politiche del Partito Socialista Italiano. Anche il Partito Comunista pubblicò posizioni analoghe sulle politiche del decentramento. Si veda in proposito Armando Cossutta, Marcello Stefanini, Renato Zangheri, Decentramento e partecipazione. L’iniziativa dei comunisti per l’attuazione della legge sui consigli di circoscrizione, Editori Riuniti, Roma, 1977).
24. Mario De Micheli, “Strategia dell’informazione”, ArteContro, a. V, n. 5, 1976, pp. 52-53. Il critico riportava queste riflessioni in merito ai dibattiti tenuti alla Rotonda di via Besana attorno alla mostra di ricerca del Laboratorio di Comunicazione Militante sul tema della manipolazione delle notizie attraverso la fotografia, in particolare con la diffusione di ritratti che costruiscono l’immagine dello stereotipo-criminale.
25. Anty Pansera curava le dispense assieme ad altri materiali didattici innovativi quali «l’antologia didattica con diapositive a colori e testi critici», una collana anticipatrice degli attuali dvd che De Micheli curò per la Videoteca delle edizioni Capitol di Bologna. Cfr. Anty Pansera, “Mario De Micheli, l’uomo e il maestro”, in Da Picasso a Guttuso. L’arte secondo Mario De Micheli (catalogo della mostra, Fondazione Biblioteca di Via Senato, 25 novembre 2011 – 15 aprile 2012), Biblioteca di via Senato Edizioni, Milano, 2011, pp. 29-30.
26. Si vedano le fotografie di Cesare Colombo che documentano l’allestimento a pannelli di testi e fotografie conservate in “Gli AnniTrenta. Arte e cultura in Italia, Milano”, Milano, CASVA (d’ora in poi CASVA), Archivio Alfonso Grassi, Busta 015. Sull’allestimento si rimanda all’articolo di Anty Pansera, “Sotto il Duomo mille idee: mostre, spettacoli, convegni”, Il Giorno, 12 gennaio 1982, CASVA, Archivio Alfonso Grassi, Busta 014.
27. «La ricerca ha per obiettivo finale l’instaurazione in campo visuale di nuovi valori semiotici o semantici in interrelazioni a metodologie tanto generali da poter essere applicate ad ogni campo della comunicazione visiva». Gruppo MID, “Per una razionalizzazione delle comunicazioni visive”, Ideal Standard, aprile-giugno 1966, pubblicata in Le tendenze dell’arte. Dal neoclassicismo alle neoavanguardie, Pannello 25.
28. Intervista della scrivente a Ezio Riva, 16 dicembre 2024, Milano.
29. «La progettazione era un momento di discussione, di fai e disfa fino a che non sei contento, insieme agli altri, del risultato» Cfr. Ezio Riva, “I segreti del mestiere”, in Anty Pansera (a cura di), L’Alfonso. Uomo, designer, artista dalle grandi passioni, Associazione Amici della Presolana, Clusone, 2019, pp. 101-103.
30. Si tratta di una storia ancora da ricostruire. L’Archivio Treccani conservato presso la Fondazione Corrente presenta diversi documenti sull’attività del Sindacato dagli anni Cinquanta a metà anni Settanta.
31. Tra le principali fonti utilizzate, articoli apparsi su l’Unità, di cui si ricorda De Micheli dirigesse all’epoca la pagina culturale, così come la rivista Arts, da cui sono tratte le principali affermazioni di artisti internazionali.
32. «Uno dei punti più accesi e stimolanti dei dibattiti sviluppatisi nei nostri incontri con gli studenti, è quello relativo al ruolo dell’insegnamento artistico e alle proposte di riforma per le scuole d’arte. Il problema è acuto soprattutto oggi, nel momento in cui la riforma tende a riproporre il tradizionale scollamento tra discipline umanistiche e discipline creative, non recuperando l’insegnamento artistico come momento realmente educativo. La complessità del problema coinvolge necessariamente il ruolo che l’artista dovrebbe assumere nei confronti della società e della scuola in particolare, laddove la cultura estetica non debba essere isolata come ‘istruzione artistica’ ma generalizzata come componente necessaria di tutti i processi educativi». Cfr. “Le tendenze dell’arte dal neoclassicismo”, 1977, p. 45.
33. Nel 1974 vennero istituiti gli Istituti Superiori per le Industrie Artistiche (ISIA) – previsti già dalla riforma Gentile ma mai attuati – per offrire un livello superiore professionalizzante nel campo del design e delle arti applicate. Un nodo centrale del dibattito riguardava il rapporto tra formazione umanistica e pratica artistica. L’introduzione del biennio integrativo nei nuovi Istituti d’Arte quinquennali aggiungeva materie come letteratura italiana, storia, filosofia e storia dell’arte in maniera più consistente ma alcuni temevano che l’aumento dei saperi “generali” distogliesse tempo ed energie dall’esercizio pratico necessario a maturare la tecnica artistica. Il delicato equilibrio tra teoria e prassi divenne dunque oggetto di confronto acceso. Su questo dibattito si rimanda a “L’educazione artistica. Numero speciale”, NAC. Notiziario Arte Contemporanea, n. 8/9, agosto-settembre 1974.
34. Cfr. Emilio Renzi, Decentramento, scuola, servizi sociali e Distretti scolastici, in Dragone, Decentramento urbano, 1975, pp.123-134.
35. Mirella Bentivoglio, “Autopresentazione a una mostra, 1976”, in Le tendenze dell’arte. Dal neoclassicismo alle neoavanguardie, Pannello 25.
36. Il Pannello 25 della mostra Le tendenze dell’arte presentava insieme Poesia Visiva, Arte Povera e Land Art, ma mentre di queste ultime due tendenze veniva sottolineato l’aspetto «mistico» della ricerca, con il ritorno a uno stato primitivo oppure l’uso della tecnologia nelle sue componenti «illogiche», aspetti che De Micheli criticava, la poesia visiva lavorando sulla parola interpretava lo spirito di un «linguaggio di comunicazione diretta» auspicato dal critico genovese. Su queste posizioni si rimanda alle dispense delle lezioni al Politecnico: Bergamo, Università degli Studi di Bergamo, Fondo Ada e Mario De Micheli, serie 2, sottoserie 5, b3, f7, sf1, Mario De Micheli, “Dispensa Comunicazioni di M. De Micheli: La città ostile; L’Arte fra Natura e Tecnologia, Politecnico di Milano, Facoltà di Architettura, a. a. 1976-1977”.
37. L’elenco delle sedi è indicato nell’articolo “Le tendenze dell’arte dal neoclassicismo”, 1977, p. 45. Si ricorda che nel Laboratorio di Comunicazione Militante fecero parte anche Anty Pansera e Raffaele de Grada.
38. Nonostante una ricognizione sistematica nelle principali testate milanesi dell’epoca – Corriere della Sera e l’Unità (edizione Milano) – non sono emerse recensioni né resoconti dedicati alle mostre qui analizzate.
39. “Le tendenze dell’arte dal neoclassicismo”, 1977, p. 45. Anty Pansera ricorda che la mostra venne allestita in un liceo di Urbino a inizi di agosto del 1980 perché si trovava presso la stazione di Bologna nel giorno in cui avvenne l’attentato di matrice neofascista. Intervista della scrivente ad Anty Pansera, 16 dicembre 2024, Milano.
40. Tino Vaglieri, “Considerazioni di un artista”, ArteContro, a. IV, n. 2, 1975, pp. 38-39. Tino Vaglieri (Trieste, 1929 – Milano, 2000), pittore tra i protagonisti della corrente del Realismo esistenziale nella Milano degli anni Cinquanta, collaborò alla rivista ArteContro firmando diversi articoli sul tema della circolazione dell’arte al di fuori delle gallerie.
41. Vittorio Spinazzola, “Partecipazione, spettacolo popolare e creatività collettiva ai Festival de l’Unità”, ArteContro, a. IV, n. 3, 1975, pp. 24-30.
42. Le tre esposizioni – conservate integralmente nei depositi della Fondazione Corrente – costituiscono un corpus significativo per comprendere la pratica espositiva e l’azione culturale promossa dall’Ente tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta. I documenti conservati nell’Archivio degli Eventi della Fondazione Corrente (anni 1977-1982) costituiscono le basi per una ricerca in questa direzione.
43. La corrispondenza rivolta ai dirigenti scolastici conferma la volontà di coniugare l’allestimento espositivo con momenti di dibattito e “conversazioni” sul realismo novecentesco (Milano, Fondazione Corrente, Archivio degli Eventi, Cartella 26).
44. Cfr. “La frattura degli anni Sessanta”, in Anna Chiara Cimoli, Musei effimeri: allestimenti di mostre in Italia, 1949‑1963, Il Saggiatore, Milano, 2007, pp. 217-229.
45. I tempi del Giorgione a Castelfranco Veneto (29 maggio – 30 settembre 1978). Le immagini della “galleria didattica” progettata da Franco Origoni sono pubblicate in Sergio Polano, Mostrare. L’allestimento in Italia dagli anni Venti agli anni Ottanta, Edizioni Lybra, Milano 1988, p. 419. Tra queste tipologie di mostre si può far rientrare 200 anni alla Scala, Palazzo Reale, Milano, 1978, per l’allestimento di G & R Associati, dove documenti d’epoca e fotografie di spettacoli ritmano i duecento anni di storia del teatro in un insieme espositivo reso unitario dall’impaginazione. Cfr. Polano, Mostrare, 1988, p. 413.