Il viaggio tra enunciazione identitaria e attitudine ecofemminista.
Lo sguardo sensibile di Laura Grisi sul paesaggio attraverso i libri fotografici del 1970

Livia de Pinto

Abstract Since the late 1950s, when she began to travel alongside her husband Folco Quilici, Laura Grisi took numerous photographs reflecting a close connection to non-Western human and natural worlds. Though never openly feminist, her experiences abroad shaped a distinctive artistic identity and suggest a personal form of early ecofeminism, particularly evident in her 1970 works Distillations and Choices and Choosing 16 from 5000. These image-text editions, blending perception and analysis, prompt questions about the role of the artist’s body, the aesthetic and political models they propose, and their place in the Italian art scene of the time.
Keywords Laura Grisi; Identità / Identity; Paesaggio / Landscape; Ecofemminismo / Ecofeminism; Fotografia / Photography

Livia de Pinto ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Storia dell’Arte presso Sapienza Università di Roma. Da marzo 2024 è assegnista di ricerca per il progetto Eco-sussistenze: la rilettura del “vuoto” nella ricerca di Laura Grisi presso l’Università per Stranieri di Siena, dove tiene anche corsi di insegnamento in Storia dell’Arte Contemporanea. Da gennaio 2023 è parte del Gruppo di Ricerca di Sapienza Università di Roma From Third-Worldism to Postcolonialism: Immaginari visivi dell’alterità in Italia (1979-2009). Razzismo, antirazzismo, multiculturalismo e neoprimitivismo, coordinato dal professor Claudio Zambianchi e dalla professoressa Francesca Gallo. Ha pubblicato studi sull’attività critica e curatoriale di Carlo Ludovico Ragghianti e di Lara Vinca Masini, sulle tangenze tra musica e arti visive in Italia, sulla teatralità nel lavoro di Giulio Paolini e sul ritorno alla pittura a Roma tra anni Settanta e Ottanta del Novecento.

Paesaggio straniero ed enunciazione identitaria

Quando nel 1970 Laura Grisi pubblica in 300 copie ciascuno i due libri d’artista Distillations: 3 Months of Looking e Choices and Choosing 16 from 5000 per la piccola casa editrice Artestudio Macerata, legata all’omonima galleria di Pio Monti,1 ha alle spalle almeno dodici anni di lavoro con il mezzo fotografico, con una particolare predilezione per il reportage di viaggio. L’artista, infatti, aveva avviato la sua attività professionale in qualità di fotografa assistente del marito Folco Quilici, regista cinematografico e televisivo specializzato nel genere del documentario, nonché saggista e autore di numerosi editoriali incentrati sulle sue esperienze internazionali. Un lavoro che per Grisi era iniziato quasi per caso, come avrebbe affermato lei stessa nel corso di una intervista realizzata nella sua abitazione romana in occasione della pubblicazione del suo volume I denti del tigre:2

«Bisogna sapere che prima di sposarlo ero già fotografa, sia pure dilettante. Viaggiando con lui, un po’ alla volta, sono diventata professionista. Quando Folco gira i suoi films e i suoi documentari deve occuparsi della macchina da presa e molla a chi gli sta intorno le tre o quattro macchine fotografiche che porta sempre addosso. Dal momento che io sono sua moglie, gli riusciva spontaneo mollarle a me. È così che sono diventata la fotografa ufficiale della “troupe” di Folco in tutte le nostre spedizioni. Per essere esatti, la mia prima foto a colori apparve su una rivista europea tre o quattro anni fa e rappresentava due ragazze indie delle Ande argentine fotografate in una località a quattromila metri di altezza».3

Sin dalla fine degli anni Cinquanta, dunque, Grisi fotografa territori e culture extra-occidentali trovando non di rado spazi editoriali in diversi periodici generalisti, firmandosi dapprima con il cognome del marito, per assumere poi gradualmente il proprio nome di battesimo, secondo un atteggiamento che implica una crescente presa di coscienza del proprio ruolo professionale attraverso la macchina fotografica.4 viceversa nel progetto di Ilit Azoulay non vi era nulla di neutrale. Quasi sempre, in questi casi, gli scatti dell’artista compaiono a corredo dei testi di Quilici. Non fa eccezione nemmeno il primo volume fotografico di Grisi, Pasos por Buenos Aires, edito da Capricornio editora nel 1959, a firma Laura Quilici e con un testo del marito in spagnolo e in inglese.5
In generale, dal materiale edito dai coniugi almeno fino alla prima metà degli anni Sessanta si evince l’attenzione di Quilici e di Grisi per l’inchiesta e per la registrazione di stampo documentaristico. Un impegno che non si limita all’indagine di culture e antiche usanze in via di progressiva scomparsa in ragione del difficile incontro con l’economia occidentale, tra le cause di sempre più fragili equilibri politici in costante mutamento, ma che si estende anche all’ambiente circostante e ai fenomeni naturali capaci di determinare ritmi di vita.6 Temi e immagini che si ritrovano per la prima volta enucleati nel volume del 1964 di Folco Quilici I mille fuochi; dal Sahara al Congo, al quale Grisi partecipa con fotografie realizzate nel corso di sette anni passati nei territori dell’Africa settentrionale al fianco del marito.7 Si tratta di scatti attribuiti singolarmente agli autori, in parte già pubblicati in diverse riviste e spesso riproposti tanto da Quilici, quanto da Grisi in successivi progetti.
La comparsa per la prima volta in maniera sistematica della firma di Laura Grisi all’interno del volume non sembra casuale. Il 1964 rappresenta infatti un anno cruciale per l’artista, durante il quale si rileva una più marcata volontà di definizione identitaria e professionale, testimoniata dalla scelta di dedicarsi principalmente alla pittura a discapito dell’attività di fotoreporter di viaggio. Sono segnatamente di questo periodo due fondamentali personali allestite prima alla galleria Il Segno di Roma8 e successivamente alla Galleria Errepi di Bologna.9 In quest’ultimo caso, in particolare, Grisi espose opere incentrate sui meccanismi della visione in cui emerge un’inedita sintesi tra il medium della pittura e quello tecnologico della fotografia e della macchina da presa, i cui obiettivi sono sempre presenti come elementi di mediazione tra l’artista e ciò che viene osservato. Inizialmente direzionati verso la minuziosa riproduzione di grafie arcaiche o comunque di segni distanti dal sistema di scrittura occidentale,10 tra il 1964 e il 1965, anno della personale alla Galleria dell’Ariete di Beatrice Monti, i dispositivi ottici si frappongono tra l’occhio dell’artista e una varietà di paesaggi, ormai riprodotti in grande formato come immagini stilizzate già vicine a una figurazione pop.11
Permane in questo caso centrale la memoria del paesaggio naturale straniero, come l’oceano e gli atolli polinesiani o anche le acque, la vegetazione e i deserti africani, territori registrati sistematicamente da Grisi nel corso degli anni. Nel contesto dell’esperienza di viaggio, la vista e la misurazione tecnica, così come i frequenti riferimenti al calcolo scientifico, si mostrano già in questo periodo elementi essenziali sui quali si incardina una lucida riflessione identitaria. Non è allora un caso che emerga adesso nelle opere dell’artista la reiterata riproduzione pittorica della propria silhouette, che sembra plausibile identificare come un vero e proprio autoritratto. Stante, sovrapposta a elementi della natura o a paesaggi, intenta a osservare, a misurare attraverso squadre e a creare forme inedite mediante forbici o altri strumenti di lavoro, in tutti i casi in queste presenze si possono leggere molteplici espressioni di identità professionale. Le ombre delineate da Grisi non si mostrano dunque come segni di spersonalizzazione,12 ma come solide presenze autoriflessive e fermo riconoscimento di sé, radicalmente distanti dalle ombre che si stagliano su luminosi e illusori scenari notturni urbani dei successivi Neon Paintings,13 oppure dalle sagome di Mario Ceroli, anch’egli operante in quegli stessi anni nell’ambiente romano della «figurazione “novissima”».14 Si tratta di una presa di posizione fondamentale nel panorama maschile della scena artistica della Capitale, in cui in questo momento Grisi ricerca tenacemente un’affermazione, nonché una postura che sarebbe emersa con maggiore forza nei due libri d’artista del 1970, in una fase in cui Grisi avrebbe adottato nuovamente e con più sistematicità il mezzo fotografico sotto una lente concettuale. Del resto, già nel 1976 Simona Weller aveva individuato nel nesso tra il «contatto con la natura» e l’indagine scientifica, sempre presente in Grisi, un imprescindibile riferimento identitario nel contesto del percorso di riconoscimento professionale dell’artista.15 Nel suo Il complesso di Michelangelo, Weller sottolinea inoltre come la reiterata esperienza in terre extra-occidentali si faccia primaria nello sviluppo del pensiero estetico di Grisi, incentrato in misura sempre crescente su una sensibilità percettiva dei fenomeni naturali e su una precarietà che richiede la fissazione dell’opera su pellicola o nastro magnetico. Nell’intervista realizzata nello studio dell’artista al principio del 1975 Weller sembra voler ricondurre tale attitudine a una dimensione femminile che Grisi rigetta con forza, affermando:

«Secondo me la creatività è una funzione propria in modo uguale ai due sessi. Il passaggio dalla fantasia infantile alla creatività è un fatto normale di tutti i popoli e che può essere educato e sviluppato […] Non esiste biologicamente una creatività specificatamente femminile o maschile».16

Nel contesto del medesimo colloquio, pur consapevole del suo passato impegno nel ritagliarsi un proprio spazio, Grisi avrebbe inoltre respinto fermamente il concetto di difficoltà e discriminazione femminile nel sistema dell’arte, portando a escludere qualsiasi affinità con il coevo pensiero femminista estetico e politico. Tuttavia, è ipotizzabile che a questa altezza cronologica Weller fosse a conoscenza dell’effettiva adesione di Grisi al network internazionale di artiste donne W.E.B. West-East Bag, ed è probabile che questo sia stato uno dei motivi che hanno spinto l’autrice a entrare in dialogo con l’artista.17 Un contatto attivo sin dal 1972 che era stato reso possibile dall’amicizia di Grisi con la gallerista genovese Ida Gianelli, unica ulteriore referente italiana della rete, e che curiosamente sembrò coincidere con la fine del legame sentimentale con Folco Quilici. Ma al di là di questa esperienza, della quale sfortunatamente non resta oggi documentazione nell’archivio dell’artista, è però vero come nel corso della sua carriera Grisi non si sia mai effettivamente dichiarata femminista e mai abbia aderito a gruppi politici o a manifestazioni di protesta femminile.
Eppure, come ha argomentato Claire Raymond seguendo le parole del filosofo Jacques Rancière, un’immagine che riorganizza il sensibile è tanto estetica quanto politica, poiché il suo potere è quello di rompere il consueto modello concettuale. Nel suo Women Photographers and Feminist Aesthetics, Raymond ha infatti posto in campo un modello femminista dalle maglie larghe, capace di abbracciare liberamente un’estetica di genere che è forza attiva ed espansiva piuttosto che cornice rigida.18
Considerando dunque estetica e politica come due forze agenti nello spazio del sensibile, legate tra loro perché entrambe tese a una sua riconfigurazione,19 si intende qui indagare i due libri fotografici di Grisi Distillations: 3 Months of Looking e Choices and Choosing 16 from 5000, tra le prime edizioni a essere realizzate da Artestudio Macerata.

Distillations: 3 Months of Looking: l’introspezione sensibile attraverso il paesaggio

Nel 1989, nel corso della celebre intervista rilasciata a Germano Celant e pubblicata l’anno successivo nel volume Laura Grisi. A Selection of Works with Notes by the Artist edito da Rizzoli, l’artista ricorda di aver avviato la serie di tre opere basata sul rapporto tra il corpo e il tempo racchiuso sotto il nome di Distillations nel 1969, a partire dal concetto di distillazione inteso come atto meditativo capace di rendere visibile lo scorrere del tempo.20 È dunque l’opera filmica La misura del tempo ad aprire tale nucleo di ricerca, in cui Grisi viene ripresa nel lento atto di ‘misurare il tempo’ attraverso il contare metodico dei granelli di sabbia.21 Un gesto, come ha scritto Raffaella Perna, «insieme minimo ed estremo perché concettualmente infinito ma fisicamente impossibile».22 Come esplicitato dall’artista stessa, il lavoro si identifica come preludio dei successivi libri oggetto del presente studio; due opere che si sviluppano sul rapporto tra testo e immagine fotografica e che possono essere contestualizzate nel fenomeno del libro d’artista di area concettuale, di cui in Italia, già nel settembre del 1971, Germano Celant aveva fornito un primo, fondamentale contributo critico nella rivista “Data” a partire dal volume del compositore americano John Cage Silence del 1961.23
Il medium fotografico viene ora utilizzato da Grisi tanto per Distillations quanto per Choiches and Choosing come mezzo artificiale di analisi. Depurata dalla passata funzione di sola registrazione documentaristica del reale, la fotografia entra adesso nel circuito espositivo in qualità di inedito mezzo concettuale di indagine e presentazione del sensibile. L’origine di entrambi i volumi deve essere ricercata nei già rammentati lunghi viaggi di Grisi al fianco del marito, di cui I mille fuochi; dal Sahara al Congo costituisce la più ricca ed esplicita documentazione. È proprio da questa pubblicazione che si desume infatti l’interesse di Quilici e di Grisi per la percezione fisica dell’ambiente circostante e per i suoi fenomeni. Sia tramite la narrazione testuale, sia attraverso gli scatti fotografici, vi emerge chiaramente la lettura di una sovversione del rapporto tra uomo e natura dettata dalle condizioni ostili dell’ambiente. Il deserto, in particolare, viene vissuto e raccontato come un immenso vuoto da comprendere per poter sopravvivere, mentre le condizioni climatiche estreme, tra alte temperature, siccità e piogge torrenziali, vengono largamente restituite tra le pagine del volume.
Anche se, per dichiarazione di Grisi, Distillations: 3 Months of Looking nasce a seguito di un viaggio intrapreso esclusivamente tra il luglio e il settembre del 1970 nel deserto del Chad, in Manihi, nelle Nuove Ebridi, nelle Isole Sottovento, a Rangiroa e nelle Isole Sulu,24 vi si trovano raccolte in verità fotografie realizzate anche in momenti più distanti nel tempo, unendo scatti dell’artista ad altri dall’autorialità incerta. La verifica analitica dell’atto di osservare è l’elemento attraverso cui si dipana il libro, all’interno del quale osserviamo Grisi guardare il fuoco, il sole, l’orizzonte, la lava, l’acqua, la sua pelle, il movimento dell’oceano, l’ondeggiare delle palme al vento e diverse piante. È segnatamente lo scatto fotografico in apertura a determinare sin da subito la particolare posizione del corpo dell’artista in questa rigorosa verifica percettiva. Si tratta di un autoscatto in cui Grisi, attraverso l’espediente della lente riflettente dei suoi occhiali, crea come uno stato di fusione tra il proprio corpo e il paesaggio, in cui l’atto di guardare viene come ribadito per tre volte: dall’obiettivo della macchina fotografica che vediamo riflessa, dalla lente degli occhiali, dall’occhio dell’artista [fig. 1]. Se dunque guardare equivale a percepire, attraverso questa emblematica immagine che inaugura l’opera la percezione sensoriale viene restituita tramite la fusione dell’io con il paesaggio, in una sorta di presenza che è anche coesistenza con l’ambiente circostante.

fig. 1 Laura Grisi, Distillations: 3Months of Looking, Artestudio Macerata, 1970. Courtesy Laura Grisi Estate.

Le quattro seguenti immagini, che accompagnano quasi tutti i testi del libro d’artista, presenti in italiano e in inglese in sezioni separate del volume, consistono poi in paesaggi e in dettagli di elementi naturali che commentano visivamente l’esperienza di Grisi. Tra queste, lo scatto ritraente le onde dell’oceano, dall’inquadratura estremamente ravvicinata, sembra quasi voler restituire il suono dell’acqua, come ad anticipare il lavoro di registrazione dei rumori minimi della natura denominato Sounds [fig. 2]. Intrapreso da Grisi appena l’anno successivo, il progetto sonoro su nastro avrebbe preso origine proprio dal ricordo dell’artista dei giorni di pioggia polinesiani, la cui prolungata esperienza le aveva permesso anni prima di affinare la propria sensibilità uditiva concentrandosi sui più lievi cambiamenti di suono generati dalla caduta dell’acqua sulla superficie della laguna e mischiati al rumore delle onde del Pacifico.25
Già a questa data Grisi sembra dunque riflettere su diversi piani su un’estetica basata sulla prossimità agli elementi naturali, costruendo calibrate trame tra le sue opere fatte di frequenti rimandi e di citazioni. Anche la successiva fotografia del particolare apicale di una pianta di banano rafforza infatti l’importanza per l’artista dei molti anni passati in viaggio ad assimilare luoghi e culture, nonché il concetto di relazione tra nuclei di lavoro [fig. 3]. Essa viene qui riutilizzata dopo esser stata pubblicata sei anni prima all’interno dell’apparato iconografico di I mille fuochi, come scatto realizzato però da Folco Quilici nell’Africa equatoriale.

fig. 2 Laura Grisi, I Look at How the Ocean Moves, in Distillations: 3 Months of Looking, Artestudio Macerata, 1970. Courtesy Laura Grisi Estate.

fig. 3 Laura Grisi, I Look at How Palms Move, in Distillations: 3 Months of Looking, Artestudio Macerata, 1970. Courtesy Laura Grisi Estate.

Originariamente descritta come rappresentazione di un «portafortuna» venerato per la sua capacità di tenere lontani dai villaggi gli «spiriti apportatori di disgrazie»,26 la medesima immagine viene ora prelevata da Grisi da quello che sembra essere a questa altezza cronologica un archivio visivo comune dei coniugi, per essere risemantizzata all’interno del proprio lavoro. La sesta fotografia, emblematicamente selezionata per la chiusura del nucleo di prescrizioni, pone ancora una volta al centro la presenza fisica dell’artista. Essa si identifica come un nuovo autoritratto, in cui Grisi si mostra in controluce nell’atto di osservare la vegetazione, incorniciata da un’apertura rettangolare che racchiude ambiente naturale e figura umana e che sembra voler proseguire l’indagine identitaria già avviata nel corso degli anni Sessanta [fig. 4].
In effetti, così posizionata l’ombra dell’artista riporta alla mente le silhouette delineate nei precedenti Variable Paintings, mostrandosi ancora una volta come presenza di sé, ora relazionata a un paesaggio reale e catturata attraverso il mezzo fotografico.27

fig. 4 Laura Grisi, I Look at Variety in Plants, in Distillations: 3 Months of Looking, Artestudio Macerata, 1970. Courtesy Laura Grisi Estate.

Le analisi testuali del volume, formate da appunti soggettivi in cui l’io resta sempre centrale, si presentano come proposte di ipotetici esperimenti. Ripartite in nove indagini, esse organizzano e classificano con rigore scientifico le percezioni sensoriali dell’artista. Queste non si restringono al solo dato visivo, ma si espandono a tutti i sensi esplorando le molteplici sensazioni stimolate da situazioni di disagio e da pericoli di incolumità derivate dalla natura ostile.28 Lavorando al margine tra immagine e parola Grisi giunge dunque a una profonda e puntuale verifica del sensibile, mostrando un ruolo alternativo del corpo in relazione al paesaggio. È la percezione immersiva e priva di gerarchie derivate dalla necessità di dominio del territorio a farsi in questo caso dato primario di conoscenza. A ben vedere, queste indagini non sembrano distanziarsi molto dagli scores Fluxus realizzati tramite l’uso della parola, di cui in territorio italiano è annoverabile principalmente l’esempio di Giuseppe Chiari, artista interdisciplinare e compositore fiorentino particolarmente attivo a Roma nel corso della seconda metà degli anni Sessanta.29 Il nesso tra il lavoro di Grisi del periodo e l’estetica Fluxus, peraltro, è già stato individuato da Lucy Lippard nel 1979 in occasione della mostra Intricate Structure, tenuta alla Tyler School of Art della Temple University di Philadelphia30, in cui Lippard aveva associato il personalissimo metodo di lavoro di Grisi con i suoni della natura alla dichiarazione di George Brecht: «as art approaches chance-imagery, the artist enters a oneness with all of nature».31

Choices and Choosing 16 from 5000: una riconfigurazione del mondo tra natura, antropologia e calcolo matematico

La stretta relazione tra natura e calcolo già ravvisabile in Distillations viene successivamente sviluppata in Choices and Choosing 16 from 5000, secondo libro d’artista della serie che del primo conserva il medesimo formato editoriale. Lavorando ancora sul medium della fotografia, in questo caso Grisi sfrutta sistemi di permutazione e di selezione a partire da un archivio di 5000 fotografie scattate dal 1960 al 1965 tra Sud America, Africa e India32 non esclusivamente dall’artista, tra commissioni e scelte personali, ma anche da altri fotografi non esplicitati [fig. 5].33 Il volume si struttura in un totale di sedici moduli, ciascuno differentemente combinato per contenere da una a ventiquattro fotografie scattate con diversi obiettivi. Come avrebbe spiegato Grisi qualche anno più tardi tra le pagine della rivista “Art-Rite”:

«The project uses both permutation and selection systems. Selection corresponds to the notion of photography as a mass of material scattered around the world subject to excavation, of photography as both matter and reference archive. Permutation is the reverse of that; its purpose is to generate more from less. The selection process gives a found aspect to photography which is very nice; also nice is the categorization of photos by subject matter, not by quality».34

A differenza del precedente volume, Grisi non seleziona più solamente paesaggi naturali stranieri, ma anche animali, piante e individui appartenenti a differenti popolazioni con cui in passato è entrata in contatto per registrarne attività, usanze e tradizioni, mostrando ora un interesse non solo ecologico-naturalistico, ma anche di tipo antropologico. Freddamente inteso come «una raccolta di entità qualsiasi»,35 il corpus fotografico viene diviso in 16 classi di aggregazione distinte per analogie di tipo visivo e generate tramite il calcolo di permutazione, metodo ripetutamente utilizzato da Grisi nel corso della sua carriera. Le immagini così raggruppate vengono in seguito nuovamente fotografate secondo precisi criteri tecnici capaci di rendere gli scatti visivamente omogenei.

fig. 5 Laura Grisi, Choices and Choosing 16 from 5000, Artestudio Macerata, 1970. Courtesy Laura Grisi Estate.

Alcuni insiemi, ad esempio, vengono catturati utilizzando un obiettivo fisheye, così da omogeneizzare il tono del materiale ma, allo stesso tempo, distorcerne la visione [fig. 6].36 Si tratta di un metodo rigoroso che mira a unire da un punto di vista tanto visivo quanto mentale la registrazione dei diversi paesaggi naturali e dei molteplici gruppi umani,37 ora leggibili non in base alle loro caratteristiche fisiche e culturali, ma come lucidi studi di varietà, di differenze minime e di meccanismi di scelta [fig. 7]. Tale processo sembra poter essere interpretato come una rielaborazione scientifica del mito occidentale delle società preindustriali, considerate in Italia ancora come ‘primitive’ e inserite in una dimensione temporale astorica.38 In questo modo, natura e calcolo matematico entrano in dialogo secondo un’analogia già individuata da Galileo Galilei in Il Saggiatore nel 1623, esplicitamente ricordato da Grisi in conversazione con Celant: «Nature is like a book of infinite pages; the language in which it is written is mathematics, and its letters are geometrical figures».39

fig. 6 Laura Grisi, People; Fauna, in Choices and Choosing 16 from 5000, Artestudio Macerata, 1970. Courtesy Laura Grisi Estate.

fig. 6 Laura Grisi, Dunes; Flight, in Choices and Choosing 16 from 5000, Artestudio Macerata, 1970. Courtesy Laura Grisi Estate.

In Grisi, infatti, secondo un peculiare processo di assorbimento e rielaborazione, culture e filosofie extra-occidentali entrano sovente in dialogo con il bagaglio culturale occidentale tramite metodi e modalità non sempre facilmente individuabili. A tal proposito, una ulteriore chiave di lettura utile nella comprensione di un lavoro come Choices and Choosing 16 from 5000 potrebbe essere individuata nel testo di Claude-Lévi Strauss Il pensiero selvaggio.40 Autore particolarmente amato dall’artista,41 nel suo saggio edito originariamente a Parigi nel 1962 l’antropologo aveva rifiutato fermamente l’idea di un pensiero considerato come primitivo, negando una distinzione dicotomica e gerarchica tra conoscenza scientifica di stampo moderno e sapere arcaico fondato sull’esperienza sensibile.42 Il discorso di Lévi-Strauss dimostrava di fatto al principio degli anni Sessanta la validità altrettanto scientifica di un atteggiamento non intelligibile ma percettivo, volto a porre al centro il corpo e l’essere concretamente nel mondo. Un pensiero precocemente introiettato da Grisi e ampiamente espresso attraverso i suoi libri d’artista e in Choices and Choosing 16 from 5000 in particolare. È in quest’ultimo, infatti, che il processo di selezione e riorganizzazione delle molteplici registrazioni delle informazioni del mondo sensibile lascia emergere l’attitudine dell’artista a coniugare la conoscenza della letteratura antropologica e l’interesse per i testi di carattere scientifico. Una postura concettuale grazie alla quale Grisi giunge a un vero e proprio approccio denormativo al paesaggio e sostanzialmente anti-primitivista nei confronti delle culture osservate e vissute in prima persona. Oltre al sistema combinatorio della permutazione, in Choiches and Choosing sembra inoltre innestarsi quello che Lévi-Strauss definisce come il metodo del bricoleur. Caratteristica del bricolage «sul piano pratico», scrive infatti l’antropologo, «è di elaborare insiemi strutturati, non direttamente per mezzo di altri insiemi strutturati, ma utilizzando residui e frammenti di eventi, […] testimoni fossili della storia di un individuo o di una società».43 È lo stesso termine «raccolta»44 utilizzato dall’artista all’interno del suo volume a costituire, probabilmente, un non casuale rimando al procedimento del bricoleur delineato dal Lévi-Strauss. In maniera analoga a quanto descritto nel suo testo, infatti, Grisi raccoglie, assembla e ordina attraverso la permutazione, elaborando così una originale sintesi che le permette di discostarsi dal puro processo della logica formale, per generare invece connessioni tra elementi del quotidiano e aprire l’orizzonte a plurimi significati che sfuggono a una visione esclusivamente lineare. Un approccio di tipo circolare che nel corso degli anni Settanta si sarebbe rivelato cifra basilare della sua identità artistica.

Un’attitudine ecofemminista?

Il riferimento a Il pensiero selvaggio consente di unire concettualmente i due libri fotografici oggetto della presente indagine. La «cura dell’osservazione esauriente e dell’annotazione sistematica»,45 nonché l’apertura a una immersione sensibile nell’ambiente naturale e al metodo percettivo come criterio di indagine del reale, per Lévi-Strauss maggiormente accostabili a una dimensione magica non meno solida del pensiero scientifico, sembrano infatti sottendere all’elaborazione tanto di Distillations: 3 Months of Looking, quanto di Choiches and Choosing 15 from 5000. Come precedentemente accennato, alle due edizioni si lega a filo doppio il progetto sonoro Sounds non solo in ragione della comune matrice del ricordo dell’esperienza di viaggio, ma anche in virtù della metodologia stessa che sta alla base questo nucleo di opere, incentrato fondamentalmente sulla documentazione della «realtà fisica».46 Composta da un insieme di registrazioni su nastro magnetico, l’opera si articola nel suono infinitesimale prodotto dallo scorrere della linfa nel tronco di un albero e dall’allungamento delle sue fibre, nel rumore della caduta di dieci pietre su altrettante superfici differenti, nei suoni prodotti da dieci materiali diversi, nella varietà sonora prodotta da una piccola quantità di un materiale lasciato cadere su una superficie di analoga composizione e nei rumori prodotti dal passaggio casuale sul suolo di alcune formiche.47 Se attraverso le precedenti indagini fotografiche Grisi aveva lavorato a partire dall’atto del guardare, pur nella reiterazione dello sfruttamento della registrazione tecnica, con Sounds l’attenzione si sposta sulla finissima e attenta percezione uditiva. Ciò che l’artista affronta è, in questo caso, una nuova analisi del sensibile che evidenzia un sotteso potenziale ecologico giocato sulla classificazione e sulla presa di coscienza dell’esistenza di un universo naturale che l’uomo occidentale non è più abituato a percepire. In tutti i casi, resta centrale la presenza umana in relazione con il molteplice, con la differenza che è parte del quotidiano.
Precocemente intercettata da Gianni Sassi per il suo evento al margine tra happening e attivismo politico Pollution: per una nuova estetica dell’inquinamento,48 realizzato nell’ottobre del 1972 nel centro di Bologna in collaborazione con la Fondazione Iris, Daniela Palazzoli e Carlo Burkhart,49 l’opera sonora sarebbe stata poi presentata in mostre e rassegne perlopiù insieme ai due volumi fotografici. È il caso della rassegna Roma Mappa 72,50 organizzata a Palazzo Taverna dagli Incontri Internazionali d’Arte, della successiva Contemporanea,51 ma anche della più tarda personale allestita al Van Abbemuseum di Eindhoven tra il settembre e l’ottobre del 1976.52 In tutti gli eventi citati, così come nelle occasioni di diffusione del lavoro sulla stampa di settore, l’artista sceglie di associare alla riproduzione dei rumori naturali la propria immagine colta in un momento operativo, esibendo ancora una volta una enunciazione identitaria di sé tramite il mezzo fotografico. Catturata nell’atto di registrare i suoni dell’ambiente, sovente in estrema prossimità agli elementi naturali, Grisi si mostra nuovamente come entità sensibile e processuale immersa nell’accadere quotidiano dei fenomeni. Il corpo così presentato si identifica soprattutto come presenza professionale femminile, per farsi contemporaneamente soggetto politico pur nell’assenza di una consapevole intenzionalità critica da parte dell’artista.53 Un atteggiamento non isolato ma che, al contrario, sembra potersi inserire in una comune postura assunta dalle artiste italiane nel corso degli anni Settanta. Come ha recentemente argomentato Laura Iamurri, infatti, molte strategie creative femminili del periodo si sono sostanziate nella messa al centro dei gesti comuni, quotidiani, di tipo rituale o tesi all’ordinamento e alla misurazione della natura, rifuggendo nel concreto squillanti forme di protesta.54
È anche grazie a simile lavoro che Grisi è riuscita a collocarsi in questo frangente cronologico in una posizione singolare rispetto alle tendenze poveriste sviluppatesi nel territorio sin dal 1967,55 che pure avevano fatto dell’elemento naturale un dato significativo del proprio operare estetico,56 anche da un punto di vista prettamente autobiografico.57 Rispetto a figure come Giuseppe Penone, Piero Gilardi o Pino Pascali, quest’ultimo amico e interlocutore di Grisi fino alla sua tragica scomparsa, il rapporto del corpo dell’artista con l’elemento naturale si è sviluppato esclusivamente in direzione di una profonda sensibilità fisica e mentale, rifiutando sempre di lasciare qualsiasi traccia della propria presenza corporea in un dato territorio o di apportarvi modifiche, seppur minime.58 Questo perché l’ambiente e i suoi fenomeni non sono per l’artista materiali da plasmare e mai vengono concepiti come inediti elementi scultorei o pittorici, ma sono assunti in quanto puri segni dell’esistenza stessa della natura,59 percepibili dal corpo nel tempo e nello spazio. In questo approccio sensibile e volutamente non impattante, la duplice indagine visiva, esposta attraverso la macchina fotografica, e verbale, restituita mediante i testi scritti a cui sono affidate considerazioni e verifiche, si fanno centrali.
Da un punto di vista teorico, Jessica Perna ha evidenziato come già Lucy Lippard nel 2007, in occasione della mostra Weather Report: Art and Climate Change,60 abbia efficacemente posto in campo una riflessione sul rapporto tra esperienze estetiche femminili e cambiamenti climatici, registrando segnatamente una maggioranza di adesioni all’evento da parte del ramo ecofemminista.61 Una categoria di pensiero che sembra essere originariamente nata dall’assorbimento del movimento ecologista sorto nel corso degli anni Sessanta e dalla congiunta ricezione del mito delle società preindustriali distanti dall’universo metropolitano.62 Si tratta di elementi che anche Laura Grisi, pur senza essersi mai apparentemente relazionata con le esperienze ecofemministe, può aver verosimilmente interiorizzato. Anche se sorta a partire dal 1974, quando l’attivista francese Françoise d’Eaubonne coniò ufficialmente il termine «ecofemminismo»,63 per giungere concretamente in Italia solamente nel corso degli anni Ottanta,64 tale teoria sembra dunque rivelare a posteriori diversi punti di contatto con i due volumi d’artista analizzati e con le opere a essi legate. Ciò avviene principalmente in virtù di un loro potenziale estetico ecofemminista ante litteram incardinato sullo sguardo sensibile di Laura Grisi sul paesaggio e sulla reiterata presentazione del proprio corpo in rapporto con la natura.65

Tuttavia, se l’ecofemminismo ha tendenzialmente criticato il pensiero univocamente scientifico in quanto sistema occidentale dal potenziale oppressivo, come visto, considerando il linguaggio matematico come parte integrante della natura, Grisi ha potuto elaborare un originale superamento del sistema dicotomico tradizionalmente concepito. Come argomentato, è proprio il lento assorbimento delle culture straniere a costituire per l’artista un prezioso patrimonio da cui attingere. Bacini di pluralità, la loro assunzione nel suo percorso di affermazione identitaria le ha concesso non solo di ritagliarsi una posizione individuale nel panorama artistico italiano, ma anche di sviluppare un’attitudine creativa affine al successivo sistema di pensiero ecofemminista. Del resto, il movimento ha ricercato sin dalla sua prima teorizzazione nutrimento da culture e filosofie extra-occidentali, basti pensare ai contributi provenienti dall’India di Vandana Shiva, di Arundhati Roy, di Bina Agarwal, oppure dall’Africa di Shanysa Khasiani e di Esther I. Njiro, effettivamente recepiti in Italia in un periodo tardivo.66
Abbracciando il pensiero decoloniale e contrastando l’egemonia globale di una mascolinità ancorata allo sfruttamento capitalista delle risorse e dei territori, l’ecofemminismo, quando a livello teorico, quando a un più concreto grado politico, ha negli anni posto criticamente la questione delle analogie tra donna e natura e tra proprietà e sottomissione, in termini che non hanno mai fatto parte del lessico di Laura Grisi. Ma come ha recentemente argomentato Lucy Bradnock nel catalogo della mostra Re/Sisters: A Lens on Gender and Ecology, concepire il corpo come parte integrante del mondo naturale rappresenta, di fatto, un atto dal forte coefficiente politico.67 Nel caso di Grisi, simile postura svela oggi un potenziale estetico ecofemminista che si mostra capace di sovvertire il canone tradizionale della rappresentazione del paesaggio basata su un vocabolario visivo incardinato sulla trasformazione e sul controllo. Un’attitudine che costituisce una cifra espressiva personalissima e distante dal coevo lavoro di Quilici, rivelandosi tassello imprescindibile di un percorso di costruzione di sé a cui l’artista avrebbe lavorato per tutto l’arco della sua carriera.

Note
1. Laura Grisi, Distillations: 3 Months of Looking, Artestudio, Macerata, 1970; Laura Grisi, Choices and Choosing 16 from 5000, Artestudio, Macerata, 1970.
2. Laura Grisi, I denti del tigre, Lerici editori, Milano, 1964.
3. Laura Grisi in Arturo Lusini, “La domatrice dormigliona”, Gioia, 6 agosto 1964, p. 36.
4. Tra gli articoli pubblicati da Folco Quilici con fotografie di Laura Grisi si vedano: Folco Quilici, “I Gauchos antichi cavalieri della pampa”, Epoca, 7 giugno 1959, pp. 51-57; Folco Quilici, “Il deserto senza sete”, Epoca, 26 agosto 1962, pp. 34-61; Folco Quilici, Le ragazze caimano, “L’Europeo”, n. 46, novembre 1963, pp. 56-64; Folco Quilici, “Giovani negri si colpiscono fra loro a frustate e intanto danzano cantano sorridono alle donne”, La Stampa, 14 agosto 1963, p. 3; Folco Quilici, “La civiltà africana è un mondo ignoto che offre all’esploratore splendide sorprese”, La Stampa, 16 gennaio 1966, p. 3.
5. Laura Quilici, Pasos por Buenos Aires, Capricornio editora, Buenos Aires, 1959.
6. Come è stato recentemente osservato da Caterina Toschi in un testo dedicato ai ritratti femminili ‘stranieri’ di Laura Grisi. Si veda: Caterina Toschi, “Ritratti di donne: la “straniera” nell’opera fotografica di Laura Grisi (1957-1990)”, Piano b. Arti e culture, vol. 8, n. 1, pp. 84-106 < https://doi.org/10.6092/issn.2531-9876/19580> (5/25).
7. Folco Quilici, I mille fuochi; dal Sahara al Congo, Leonardo Da Vinci Editore, Bari, 1964.
8. Nello Ponente (a cura di), Laura Grisi, (catalogo della mostra, Roma, Galleria Il Segno, 24 marzo – 15 aprile 1964), Roma 1964.
9. Antonio Bandera (a cura di), Laura Grisi, (catalogo della mostra, Bologna, Galleria Errepi, 2-16 dicembre 1964), Galleria Errepi, Bologna, 1964.
10. Ivi, p.n.n.
11. Renato Barilli (a cura di), Laura Grisi, (catalogo della mostra, Milano, Galleria dell’Ariete, dal 29 gennaio 1965), Galleria dell’Ariete, Milano, 1965.
12. Una lettura che differisce da quella fatta nel 2021 di Giorgia Gastaldon, per la quale si rimanda a: Giorgia Gastaldon, “Between Commitment and Disengagement: The Art of Women in Rome in the Sixties”, in Ulla Weber (a cura di), Fundamental Questions. Gender Dimensions in Max Planck Research Projects, Nomos Verlagsgesellschaft mbH & Co. KG, Baden-Baden, 2021, p. 78.
13. Laura Grisi, “Neon Paintings”, in Germano Celant, Laura Grisi. A Selection of Works with Notes by the Artist, Rizzoli, New York, 1990, p.n.n.; Giuliana Bruno, “Light and Fog: A Cinema of Enviromental Art”, in Marco Scotini e Clément Dirié (a cura di), Laura Grisi, jrp editions, Ginevra, 2022, pp. 131-133.
14. Come definita da Maurizio Fagiolo dell’Arco nel suo Rapporto 60, in cui il critico inserisce anche Grisi. Maurizio Fagiolo dell’Arco, Rapporto 60. Le arti oggi in Italia, Bulzoni editore, Roma, 1966, p. 20.
15. Simona Weller, Il complesso di Michelangelo. Ricerca sul contributo dato dalla donna all’arte italiana del Novecento, La Nuova Foglio, Pollenza, 1976, p. 48.
16. Laura Grisi, in Weller, Il complesso di Michelangelo, 1976, p. 47.
17. Come si evince dai documenti conservati sia nelle carte di Ida Gianelli, sia nei materiali del Lucy Lippard Woman’s Art Registry custoditi dalla Rutgers University. Bologna, Archivio di Storia delle Donne, Carte Ida Gianelli, serie Rivolta femminile, b. 3 fasc. 1; New Brunswick, Rutgers University, Archives and Special Collections at Rutgers, Lucy Lippard Women’s Art Registry, b. 3.
18. Claire Raymond, “Introduction. Women Photographers and Feminist Aesthetics”, in Claire Raymond (a cura di), Women Photographers and Feminist Aesthetics, Routledge, Abingdon, Oxon-New York, 2017.
19. Marie Rebecchi, “Jacques Rancière, Il disagio dell’estetica”, Rivista di estetica, supplemento al n. 55, 2014, pp. 169-172.
20. «Distillation as a selection among a large number of images, provoking personal reactions and meditations. The present of the present, the present of the past, the present of the future, which is discussed by Saint Augustine. Distillation as a meditative quality: the counting of grains of sand as a measurement of time, sand and spiral a suggestion of infinity, the spiral as unending circular motion, representing endless time». Laura Grisi, in Germano Celant (a cura di), Laura Grisi. A Selection of Works with Notes by the Artist, Rizzoli, Milano, 1990, p. 34.
21. Giuliana Bruno, “Light and Fog: A Cinema of Enviromental Art”, in Scotini e Dirié, Laura Grisi, 2022, p. 139.
22. Raffaella Perna, In forma di fotografia. Ricerche artistiche in Italia dal 1960 al 1970, DeriveApprodi, Roma, 2009, p. 115; Raffaella Perna, “’La misura del tempo’: i film di Laura Grisi”, in Lara Conte e Francesca Gallo (a cura di), Artiste italiane e immagini in movimento. Identità, sguardi, sperimentazioni, Mimesis Edizioni, Aurora, Milano, 2021, pp. 51-60.
23. Germano Celant, “Book as Artwork 1960/1970”, Data, n. 1, settembre 1971, pp. 35-49.
24. Laura Grisi, Distillations: 3 Months of Looking, Artestudio, Macerata, Macerata, 1970, p.n.n.
25. Laura Grisi in Germano Celant, “Essay-Interview”, in Celant, Laura Grisi, 1990, p. 35.
26. Quilici, I mille fuochi, 1964, ripr. n. 185, p.n.n.; 411-412n.
27. Giorgia Gastaldon, “Between Commitment and Disengagement: The Art of Women in Rome in the Sixties”, in Ulla Weber (a cura di), Fundamental Questions. Gender Dimensions in Max Planck Research Projects, Nomos Verlagsgeselleschaft mbH&Co. KG, Baden-Baden, 2021, p. 78.
28. Flavia Frigeri, Essere donne: visioni femministe, in <https://still.inbetweenartfilm.com/essere-donne-visioni-femministe/> (4/25).
29. È segnatamente del 1969 il primo libro d’artista di Chiari Musica senza contrappunto, composto da dichiarazioni teoriche, progetti e partiture verbali. Giuseppe Chiari, Musica senza contrappunto, Lerici Editore, Roma, 1969.
30. Lucy Lippard, Intricate Structure, (catalogo della mostra, Philadephia, Tyler School of Art of Temple University, Part I: 19 gennaio – 8 febbraio 1979; Part II: 21 gennaio – 10 febbraio 1980), 1979.
31. George Brecht, Chance-­Imagery, Great Bear Pamphlet, Something Else Press, New York 1966, p. 12.
32. Perna, In forma di fotografia, 2009, p. 116.
33. Grisi, Choices and Choosing, 1970.
34. Laura Grisi, “Choices and Choosing 16 from 5000”, Art-Rite, n. 14, inverno 1976-1977, p.n.n.
35. Grisi, Choices and Choosing, 1970.
36. Grisi, “Choices and Choosing 16 from 5000”, 1976-1977, p.n.n.
37. Perna, In forma di fotografia, 2009, p. 116.
38. Solo per citare alcune pubblicazioni sul tema, prossime all’artista e derivate da molti anni di lavoro, in cui compare a più riprese il concetto di ‘primitivo’ associato alle culture extra-occidentali: Folco Quilici, “La fine del primitivo: Tam-Tam e magia nell’Africa equatoriale”, Ferrania, n. 2, febbraio 1962, pp. 20-26; Folco Quilici, “La fine del primitivo: Poto-Poto ovvero la metropoli primitiva africana”, Ferrania, n. 3, marzo 1962, pp. 31-40; Folco Quilici, “La fine del primitivo: l’acqua ed il petrolio del Sahara”, Ferrania, n. 4, aprile 1962, pp. 22-28; Folco Quilici, “La fine del primitivo: nella Pampa e nelle Ande dell’America meridionale, Ferrania, n. 2, febbraio 1963, pp. 2-9; Folco Quilici, La fine del primitivo: nei mari del sud, Ferrania, n. 4, aprile 1963, pp. 22-28; Folco Quilici, “La fine del primitivo: i crociati del Ciad”, Ferrania, n. 5, maggio 1963, pp. 2-7; Folco Quilici, Gli ultimi primitivi, Rizzoli Editore, Milano, 1973.
39. Laura Grisi in Germano Celant, “Essay-Interview”, in Celant, Laura Grisi, 1990, p. 36.
40. Claude Lévi-Strauss, Il pensiero selvaggio, Il Saggiatore, Milano 1964.
41. Laura Grisi in Germano Celant, “Essay-Interview”, in Celant, Laura Grisi, 1990, p. 13.
42. Manlio Iofrida, Per un paradigma del corpo: una rifondazione filosofica dell’ecologia, Quodlibet Studio, Macerata 2019, p. 61.
43. Lévi-Strauss, Il pensiero selvaggio, 1964, p. 34.
44. Grisi, Choices and Choosing, 1970, p.n.n.
45. Lévi-Strauss, Il pensiero selvaggio, 1964, p. 25.
46. Ibidem.
47. Laura Grisi “Sounds – 1971”, Data, n. 22, luglio-settembre 1976, p. 70.
48. Gianni Sassi e Daniela Palazzoli (a cura di), Pollution: per una nuova estetica dell’inquinamento, (Bologna, 8-14 ottobre 1972), Fondazione Iris, Bologna, 1972.
49. Teresa Kittler, “L’ecologista scettico: Gianni Sassi e l’inquinamento, 1972”, Novecento Transnazionale, n. 5, 2021, pp. 6-8.
50. Bruno Corà (a cura di), Incontri 72, quaderno n. 3 del Centro d’Informazione Alternativa, Incontri Internazionali d’Arte, Roma, 1979, p.n.n.
51. Incontri Internazionali d’Arte (a cura di), Contemporanea, (catalogo della mostra, Roma, Parcheggio di Villa Borghese, novembre 1973 – febbraio 1974), Centro Di, Firenze, 1973, pp. 418, 422.
52. Laura Grisi, Laura Grisi, (catalogo della mostra, Eindhoven, Van Abbemuseum, 10 settembre – 10 ottobre 1976), Lecturis, Eindhoven, 1976.
53. Sulla presenza dell’artista donna come corpo politico in quello stesso frangente cronologico si veda: Laura Iamurri, “Obstinées et expérimentales: les femmes artistes en Italie, 1960-1975”, in Valérie Da Costa (a cura di), Vita Nuova. Nouveaux enjeux de l’art en Italie 1960-1975, (catalogo della mostra, Nizza, MAMAC, 14 maggio – 3 ottobre 2022), pp. 63-65.
54. Ivi, p. 64.
55. Nei cui margini porosi Grisi è stata recentemente più volte inserita, come nel caso della già citata mostra allestita al MAMAC di Nizza e la più recente Arte Povera, curata da Carolyn Christov-Bakargiev alla Bourse de Commerce di Parigi. Si vedano: Da Costa, Vita Nuova, 2022; Carolyn Christov-Bakargiev (a cura di), Arte Povera (catalogo della mostra, Parigi, Bourse de Commerce, 9 ottobre 2024 – 20 gennaio 2025), Pinault Collection, Dilecta, Parigi, 2024.
56. Nicholas Cullinan, “La ricostruzione della natura: gli imperativi artigianali e rurali dell’Arte Povera”, in Germano Celant (a cura di), Arte povera 2011 (catalogo delle mostre, Torino, Milano, Bologna, Roma, Napoli, Bari, 2011-2012), Electa, Milano, 2011, pp. 62-75.
57. Lara Conte, “Geste, processualité dans l’art et la critique en Italie entre 1960 et 1970: quelques exemples”, in Da Costa, Vita Nuova, 2022, pp. 96-106.
58. Si pensi in particolare alle opere raccolte nel volume Arte povera più azioni povere, dedicato alla rassegna di Amalfi del 1968 e pubblicato appena l’anno precedente rispetto ai due libri fotografici di Grisi. Si veda: Arte povera più azioni povere, Rumma editore, Salerno, 1969.
59. Laura Grisi in Germano Celant, “Essay-Interview”, in Celant, Laura Grisi, 1990, p. 24.
60. Lucy Lippard (a cura di), Weather Report: Art and Climate Change, (catalogo della mostra, Colorado, Boulder Museum of Contemporary Art, settembre-dicembre 2007), Boulder Museum of Contemporary Art, Colorado, 2007.
61. Jessica Perna, Arte proto-feminist. Una rilettura delle neoavanguardie italiane degli anni Sessanta, tesi di dottorato del XXVII ciclo discussa presso il Dipartimento di Scienze dei Beni Culturali dell’Università degli Studi della Tuscia nel novembre del 2015, p. 183.
62. Ivi, p. 184.
63. Françoise d’Eaubonne, Il femminismo o la morte. Il manifesto dell’ecofemminismo (1974), Prospero, Novate Milanese, 2022.
64. Franca Marcomin e Laura Cima (a cura di), L’ecofemminismo in Italia. Le radici di una rivoluzione necessaria, Il Poligrafo, Padova, 2017. Sull’ecofemminismo in Italia, anche: Luisella Battaglia, “Donne e natura. Considerazioni sull’ecofemminismo”, in Laura Marchetti e Peter Zeller (a cura di), La madre, il gioco, la terra, Laterza, Roma-Bari, 1992, pp. 241-273; Maria Alberta Sarti, “Ecofemminismo e natura”, in Cosimo Quarta (a cura di), Una nuova etica per l’ambiente, Bari, Dedalo, 2006, pp. 195-214; Silvana Castignone, “‘Con voce di donna’ in difesa dell’ambiente: l’ecofemminismo”, in Materiali per una storia della cultura giuridica, n. 1, 2008, pp. 175-196.
65. Per un recente sguardo in prospettiva ecofemminista sul lavoro di Laura Grisi si rimanda a: Teresa Castro, “Ricreare l’esperienza: Una lettura ecofemminista del lavoro di Laura Grisi”, Flash Art, 13 luglio 2022, consultabile online su <https://flash—art.it/article/laura-grisi-4/> (5/25).
66. Laura Cima e Franca Marcomin, “Premessa”, in Cima e Marcomin, L’ecofemminismo in Italia, 2017, pp. 15-17.
67. Lucy Bradnock, “Being In and Of Ground”, in Aalona Pardo (a cura di), Re/Sisters. A Lens on Gender and Ecology, (catalogo della mostra, London, Barbican Art Gallery, 5 ottobre 2023 – 14 ottobre 2024), Prestel Verlag, London, 2023, p. 199.