Michelangelo Pistoletto nella Bay Area
di San Francisco:
mostre, azioni e installazioni

Roberta Minnucci

Abstract In the early months of 1980, Michelangelo Pistoletto held exhibitions and events across the San Francisco Bay Area, including Rags at the Berkeley Art Museum—the first U.S. showing of Venus of the Rags—and the performance Venus and the Big Dipper. Engaging with new audiences and contexts, Pistoletto established a profound and productive dialogue with the new cultural and social context. Drawing on unpublished archival sources, the article examines how travel functioned as a tool for artistic exploration and renewal during his Bay Area stay.
Keywords Michelangelo Pistoletto; Venere / Venus; Stracci / Rags; Performance; San Francisco

Roberta Minnucci è Guest Fellow alla Bibliotheca Hertziana – Istituto Max Planck per la Storia dell’Arte, dove in precedenza è stata Postdoctoral Fellow. Ha conseguito un Dottorato di ricerca presso l’Università di Nottingham con una tesi sul rapporto dell’Arte Povera con il passato. La sua ricerca esamina l’arte italiana dagli anni Sessanta in poi, con una particolare attenzione per pratiche performative e approcci femministi, identità artistica e dialogo internazionale. Ha ricevuto borse di ricerca dalla Getty Foundation, dalla British School at Rome e da Magazzino Italian Art, dove è stata Scholar-in-Residence (2022-2023). Ha pubblicato su riviste internazionali (Art History, Art Journal, IKON. Journal of Iconographic Studies) e volumi collettanei (Art and Intimacy in Modern Italy. Entangled Lives, Bloomsbury, 2025; Visual Culture of Post-Industrial Europe, Amsterdam University Press, 2024. È autrice del libro Ritagliare l’astrazione. I collage di Carla Badiali (Arbor, 2022).

Tra il 1979 e il 1980 Michelangelo Pistoletto risiedette in maniera continuativa negli Stati Uniti, dove si trasferì con la compagna e collaboratrice Maria Pioppi e le figlie per un lungo e produttivo soggiorno in diverse città del sud e dell’ovest del paese.1 In queste aree, che sfuggivano all’attrazione centripeta di New York, capitale dell’arte a livello nazionale e globale, l’artista realizzò mostre, installazioni e azioni. A differenza dei primi soggiorni risalenti agli anni Sessanta durante i quali, considerato nell’ambito della Pop Art e vicino a galleristi del calibro di Ileana Sonnabend e Leo Castelli, aveva esposto esclusivamente i suoi Quadri Specchianti, questo viaggio itinerante vede Pistoletto impegnato a instaurare un dialogo più profondo e autentico con il contesto sociale e culturale statunitense. Quando l’artista approda di nuovo oltreoceano, ha ormai maturato una ricerca che si è sviluppata in diverse direzioni: dalle azioni performative e collaborative alla scultura, dalle installazioni al teatro di strada. Tali territori verranno ulteriormente esplorati durante il soggiorno tra il 1979 e il 1980 e, nel processo di scambio e interazione con il contesto statunitense, si caricheranno di nuovi significati e valori. Analizzando un capitolo circoscritto del biennio in esame, il presente contributo propone una prima indagine critica, basata su inedite fonti primarie, delle mostre e delle azioni presentate da Pistoletto tra gennaio e marzo del 1980 nella Bay Area di San Francisco, dimostrando come nel viaggio l’artista trovi nuovi stimoli per sviluppare la propria ricerca secondo inedite prospettive e chiavi di lettura, in un contesto straniero che diventa fonte preziosa di inaspettati dialoghi.2
È significativo evidenziare come il progetto di Pistoletto venga considerato di rilevanza nazionale per gli Stati Uniti, in quanto finanziato parzialmente dal National Endowment for the Arts, un’agenzia facente capo al governo federale volta a promuovere la realizzazione di progetti di eccellenza artistica e la partecipazione pubblica a iniziative culturali. L’artista si serve di questa opportunità per presentare e creare opere che spaziano dai ben conosciuti Quadri Specchianti a lavori tridimensionali più recenti, da installazioni ad azioni partecipative. Il soggiorno nella Bay Area all’inizio del 1980 costituisce l’ultima tappa di un viaggio iniziato l’anno precedente, quando Pistoletto presentò al Rice Museum di Houston, Texas, alcuni Quadri Specchianti insieme ad altre opere e installazioni.3 Seguendo un itinerario che attraversa il sud del paese da occidente a oriente, l’artista si reca successivamente in Georgia, ad Atlanta, per un progetto partecipativo e multidisciplinare dal nome di Creative Collaborations che creerà una vibrante sinergia con la popolazione locale. In veste ufficiale di artista in residenza della città di Atlanta, sponsorizzato dal Dipartimento degli Affari Culturali e presentato ufficialmente alla comunità e alla stampa dal sindaco Maynard Jackson, Pistoletto è accompagnato, oltre che da Maria Pioppi e dalle figlie Petra e Armona, da collaboratori di fiducia quali il registra teatrale e attore Lionello Gennero, il compositore americano Morton Feldman, e il musicista jazz Enrico Rava.4 Guidata per la prima volta da un sindaco afroamericano, Atlanta era una città caratterizzata da una complessa composizione sociale e stava vivendo una fase di forte fermento culturale che fu ulteriormente alimentato dalla presenza di Pistoletto, che coinvolse con la propria squadra la popolazione e gli artisti locali in creazioni artistiche, musicali e partecipative. Oltre al progetto Creative Collaborations, nello stesso stato l’artista presentò una mostra al Georgia Art Museum di Athens con installazioni site-specific e opere create utilizzando il mobilio recuperato in giro per la città.5 Alla fine del 1979 la mostra al Los Angeles Institute of Contemporary Art (LAICA) inaugura l’attività dell’artista italiano in California presentando, oltre ad alcuni Quadri specchianti, un nucleo di opere meno note al pubblico statunitense come gli Oggetti in meno e i Plexiglass.6 È con l’inizio del nuovo anno, il 1980, che Pistoletto, stabilitosi in zona con la sua famiglia, darà il via a una serie di importanti iniziative nella Bay Area di San Francisco. Questa porzione geografica degli Stati Uniti vantava una ricca storia sociale e culturale: a partire dagli anni Cinquanta San Francisco era stata il centro nevralgico della Beat Generation, mentre il decennio successivo aveva visto la forte presenza nell’area del movimento Hippy, l’emergere della contestazione giovanile e studentesca – con le proteste alla University of California di Berkeley che aprirono la strada al ‘68 – e delle battaglie per i diritti civili e delle minoranze. A questo attivismo politico e sociale corrispondeva una scena artistica altrettanto vivace, che si differenziava da quella newyorkese per diversi aspetti. Mentre, sulla East Coast, New York deteneva un indiscusso monopolio culturale e rivolgeva lo sguardo all’Europa, la West Coast era caratterizzata da un marcato policentrismo culturale e, affacciata sul Pacifico, guardava più ai paesi asiatici e quelli del Sud America. Questa scena artistica diffusa aveva i propri centri principali a San Francisco, Oakland e Berkeley, ma comprendeva anche realtà minori come Palo Alto, San Bruno, Los Altos, fino a San Jose. Le più importanti e prestigiose istituzioni museali si concentravano nei maggiori centri cittadini, con l’Oackland Museum e, a San Francisco, The Mexican Museum, il M.H. de Young Memorial Museum (oggi de Young Museum), e il San Francisco Museum of Modern Art. A queste si affiancavano importanti accademie e università, quali il California College of Arts and Crafts a Oakland, il San Francisco Art Institute, la University of California a Berkeley e la Stanford University. Una scena istituzionale a cui si aggiungeva, inoltre, un ingente numero di gallerie private e di spazi sperimentali dove trovavano posto le nuove tendenze come performance e installazioni, ultimo capitolo della scena artistica della West Coast dopo arte concettuale, pittura astratta e Funk Art.7
Quando Pistoletto arriva nella Bay Area all’inizio del 1980, era ancora forte l’eco del successo della monumentale opera The Dinner Party (1974-1979) presentata per la prima volta da Judy Chicago l’anno precedente al San Francisco Museum of Modern Art.8 Nel contesto policentrico ed eterogeneo della zona della Bay Area, l’artista italiano si inserisce dando vita a una serie di iniziative che promuoveranno un interessante dialogo tra quattro luoghi di diversa vocazione: lo University Art Museum di Berkeley, lo spazio sperimentale 80 Langton Street a San Francisco, il centro commerciale Mayfield Mall a Palo Alto, e il San Francisco Museum of Modern Art. Il primo evento espositivo, presentato allo University Art Museum di Berkeley, è di particolare importanza per comprendere diversi punti chiave: le specifiche circostanze che generarono tale progetto, la ricezione dell’Arte Povera e del lavoro di Pistoletto negli Stati Uniti sul finire degli anni Settanta, e le modalità tramite cui l’artista interagì con i diversi contesti. Michael Auping, curatore dello University Art Museum di Berkeley, incontrò per la prima volta Pistoletto nel 1978 a New York, nel loft di Soho di Stephen Reichard e Anne Livet, consulenti d’arte ante litteram impegnati a tessere una fitta rete di relazioni tra artisti, galleristi e musei. Auping ricorda che in quel periodo le notizie sull’Arte Povera che giungevano dall’Italia stavano arrivando sempre più numerose negli Stati Uniti, dove si credeva che il gruppo, le cui opere si conoscevano principalmente attraverso riproduzioni fotografiche in bianco e nero, fosse una sorta di versione europea del Post-minimalismo americano.9 Fu Reichard a convincere Auping del contrario, insistendo sulla necessità di mostrare al pubblico americano l’Arte Povera dal vivo. A tal fine, era sua intenzione organizzare insieme a Livet un programma itinerante che avrebbe portato Pistoletto, considerato il “padre fondatore” del movimento, in giro per gli Stati Uniti, progetto che si realizzò lungo l’arco di un biennio (1979-1980) denso di iniziative.10 È interessante evidenziare come, se si prende per vera la testimonianza di Auping, l’Arte Povera sia oggetto di una ricezione dilazionata lungo il decennio degli anni Settanta, decennio particolarmente significativo nelle vicende del gruppo, dal momento che era iniziato con il suo dissolvimento decretato da Germano Celant nel 1971.11 Il critico genovese era stato in prima linea nel lancio del gruppo oltreoceano, pubblicando nel 1969 il volume Art Povera, parte di un piano di promozione editoriale a cui non si accompagnò, tuttavia, un parallelo programma espositivo.12 Bisognerà infatti aspettare il 1985 per la prima mostra collettiva negli Stati Uniti, The Knot: Arte Povera at P.S.1, presentata a New York dallo stesso Celant.13 Nel biennio qui esaminato il viaggio transatlantico di Pistoletto, considerato uno degli indubbi protagonisti dell’Arte Povera, acquista di conseguenza, almeno nelle intenzioni di Auping e Reichard, un significato di particolare valore per la conoscenza del movimento nel territorio nord-americano. Bisogna notare, tuttavia, che l’ottica degli addetti al mondo dell’arte era molto lontana da quella del pubblico e dello stesso Pistoletto, che non nominò mai l’Arte Povera in relazione alle iniziative realizzate durante il suo soggiorno tra il 1979 e il 1980.
Le basi per la realizzazione della prima mostra nella Bay Area di San Francisco iniziano a essere gettate già all’inizio del 1978, quando Reichard scrive a James Elliott, direttore del museo di Berkeley, ringraziandolo per l’accoglienza riservata a Pistoletto e Pioppi durante la loro visita a San Francisco di alcuni mesi prima, nel novembre del 1977, aggiungendo: «dal viaggio è emerso chiaramente che, tra le opere di Michelangelo, si conoscono soltanto i Quadri specchianti. [Pistoletto] spera di rimediare a ciò attraverso la realizzazione di installazioni in loco e ambientali, e sarebbe grato di avere una tale opportunità presso lo University Art Museum. Le scrivo, quindi, chiedendo di prendere [questa proposta] in considerazione».14 Pistoletto, dunque, aveva già fatto visita al museo che, come riporta Reichard, era stato quello che l’artista aveva più apprezzato tra quelli visti.15 Non vengono forniti dettagli su come questo viaggio rese l’artista consapevole della scarsa conoscenza, da parte del pubblico americano, dell’eterogeneità della propria opera, ma è significativa l’intenzione di porre rimedio a tale parziale ricezione. È anche importante considerare che Pistoletto non era assolutamente un novizio nel contesto artistico americano. Al contrario, era stato tra i primi artisti non solo in Italia, ma in Europa a essere rappresentato da una galleria prestigiosa e potente quale quella di Leo Castelli, da cui però l’artista si era progressivamente allontanato durante la seconda metà degli anni Sessanta. In questo decennio Pistoletto aveva esposto al Walker Art Center di Minneapolis, alla Kornblee Gallery di New York, alla Hudson Gallery di Detroit, e alla Albright Knox Art Gallery di Buffalo.16 Nel decennio successivo era stato quasi assente nella scena statunitense, con due sole apparizioni, nel 1974, alla Sidney Janis Gallery e Castelli Graphics. Il ritorno alla fine degli anni Settanta costituisce dunque per l’artista un’importante occasione per far conoscere oltreoceano l’interdisciplinare sperimentazione artistica a cui si era dedicato negli anni precedenti, insieme a nuclei di opere che avevano avuto poca visibilità negli Stati Uniti. Queste premesse possono far meglio comprendere la decisione di esporre, alla mostra dello University Art Museum di Berkeley, intitolata Rags, i lavori realizzati con gli stracci alla fine degli anni Sessanta, opere che Reichard considerava fondamentali per la nascita dell’Arte Povera.17 Tale scelta è motivata non soltanto dal fatto che questo corpus di opere non era mai stato presentato negli Stati Uniti, ma anche dal legame con la città ospitante. La Universtity of California di Berkeley era stata un precoce laboratorio di attivismo sociale, politico e culturale che gettò le basi per la diffusione globale delle proteste studentesche del 1968. A tal proposito, Pistoletto affermò: «Berkeley ha una tradizione vivace, è un posto dove nel ‘68 esisteva un movimento vitale e innovativo. Era giusto che il lavoro che ho fatto nel ‘68 fosse presentato lì».18 In quello stesso anno, ad Amalfi, Pistoletto aveva partecipato ad Arte Povera+Azioni Povere creando, all’interno della sede degli Arsenali, delle opere con degli stracci che aveva portato da Torino e che normalmente utilizzava per pulire i suoi Quadri Specchianti.19

Vista l’importanza di questi lavori inizialmente presentati ad Amalfi per un’adeguata comprensione della mostra di Berkeley e di altri eventi presentati da Pistoletto nella Bay Area di San Francisco, una breve digressione sulla partecipazione dell’artista ad Arte Povera+Azioni Povere si rende necessaria. Pistoletto ricorda che, al suo arrivo, l’unico spazio espositivo rimasto libero all’interno degli Arsenali era parzialmente occupato da alcuni resti romani che egli decise di incorporare in diverse opere, mettendoli in dialogo con gli stracci.20 In altri lavori fu la luce, sia naturale che artificiale, a essere resa protagonista, come nella fila di candele disposte a terra (Candele, 1967) e nella Tenda di lampadine (1967) all’entrata degli Arsenali, composta da fili che scendevano dal soffitto reggendo delle lampadine accese. Tranne la Sfera di giornali (1966), posta all’interno di una gabbia metallica e ripresentata sotto il titolo di Mappamondo, tutte le opere erano state realizzate sul posto. In Monumentino (1968), su una pila di mattoni rivestiti da stracci l’artista pose una scatola di cartone semiaperta e una vecchia scarpa consumata.21 L’opera aveva fatto la sua prima apparizione ne L’Uomo Ammaestrato, uno spettacolo che Lo Zoo aveva messo in scena nell’estate nel 1968 nelle strade del paesino ligure di Vernazza, e che ripresenterà ad Amalfi.22 Fondato da Pistoletto nello stesso anno, Lo Zoo si configurava come una compagnia teatrale non convenzionale né rigidamente strutturata che coniugava la tradizione del teatro di strada con suggestioni diverse portate dai vari membri e collaboratori che includevano tra gli altri Maria Pioppi, l’attore Carlo Colnaghi, il poeta Gianni Milano, e il critico Henry Martin. Nelle rappresentazioni del gruppo, gli stracci, colorati e dalla forma plasmabile, erano degli elementi polifunzionali che creavano scenografie improvvisate e vestivano gli attori. Essi attraversano, in maniera trasversale e interdisciplinare, la produzione della fine degli anni Sessanta di Pistoletto, unendo vocazione scultorea e performativa. L’artista vi riconosce una potenzialità teatrale anche in sede espositiva, come si evince dalle parole con cui descrive il proprio spazio all’interno degli Arsenali: una «piccola scenografia», un «piccolo teatro».23
A Berkeley, oltre un decennio dopo, nel 1980, alcune opere realizzate con gli stracci vengono esposte per la prima volta negli Stati Uniti nella mostra Rags, a cura di Michael Auping, all’interno della rassegna MATRIX.24 Allo University Art Museum, Pistoletto sfruttò al meglio le possibilità offerte dalla stratificata e complessa architettura, basata su una dinamica scomposizione modulare a ventaglio.25 La Venere degli Stracci (Venus of the Rags, 1967) [fig. 1] venne disposta a ridosso di un angolo della balconata interna che si apriva sull’atrio, permettendo di essere osservata da diverse prospettive.26

fig. 1 Michelangelo Pistoletto, La Venere degli Stracci, 1967.
Rags, Berkeley, University Art Museum, 1980.
Courtesy Archivio Pistoletto.

Nelle intenzioni dell’artista, la Venere si poneva in una relazione di contrasto piuttosto che di complemento con lo spazio espositivo, mentre gli stracci assumevano un’importanza maggiore, dimostrata dalla più imponente grandezza del mucchio rispetto a precedenti installazioni.27 Questi scarti tessili erano stati recuperati per le strade di Berkeley, dai senzatetto della città:

«Gli stracci qui a Berkeley sono fantastici! Ci sono così tante persone bellissime che trasportano stracci nei carrelli della spesa, e ci sono mucchi di stracci ovunque su Telegraph Avenue. […] Ho comprato alcuni stracci da loro, e alcuni di loro volevano donare stracci per i lavori di questa mostra. Sono nomadi che portano con sé i loro bellissimi colori, le bandiere di una società nomade».28

L’artista, dunque, ingloba nei lavori esposti materiali trovati nel corso della sua esplorazione del tessuto urbano grazie all’incontro con persone del luogo, esperienze che contribuiscono direttamente al processo creativo e alla realizzazione dell’opera.29 Le parole di Pistoletto dimostrano un genuino interesse umano nei confronti della comunità dei senza dimora di Berkeley, ma non fanno trapelare una consapevolezza più profonda del disagio della loro condizione, né dichiarati intenti di denuncia dei fattori sociali ed economici che ne sono stati la causa.30 Sebbene questo si possa imputare alla scarsa conoscenza di Pistoletto, in quanto visitatore temporaneo, del contesto americano, si deve anche sottolineare come l’artista nella propria pratica artistica abbia sempre incluso temi sociali e politici senza però far mai propria la denuncia diretta. Nell’intervista citata, Auping sottolinea come la città di Berkeley abbia storicamente sostenuto, da sempre, persone con difficoltà economiche, mentali o di altro tipo, specificando come alcuni dei senza dimora della zona siano studenti che hanno abbandonato un percorso universitario.31 Per Pistoletto gli stracci rappresentano una povertà che acquista valore etico in una società alla continua ricerca del nuovo, diventando il simbolo di una civiltà del riciclo e del riuso che aveva segnato gli anni giovanili dell’artista, che ricorda quando gli stracci venivano messi da parte in ambito domestico.32 Questi materiali di scarto portano con sé una lunga storia di riutilizzo – si pensi agli straccivendoli, o cenciaioli, e la produzione di carta – ma nell’Italia della fine degli anni Sessanta sembrano anticipare lo spettro del fast-fashion, e allo stesso tempo suggerire, visti con gli occhi di oggi, un ritorno a quella vecchia tradizione nel recente sviluppo del riciclo tessile e del mercato dell’abbigliamento vintage.
L’intervista con Auping si rivela particolarmente interessante per capire come, nel contesto americano, Pistoletto debba necessariamente prendere posizione rispetto al suo rapporto con la Pop Art. Il curatore trova strano che Pistoletto si serva di stracci e vestiti vecchi, e sia considerato allo stesso tempo un artista Pop, prima ancora che questo movimento emergesse negli Stati Uniti. Pistoletto ribatte:

«Non sono sicuro di quando sia iniziato il Pop. Questa è una domanda per gli storici. Io uso molte immagini diverse. Non so se la mia arte possa essere definita Pop. Non penso di avere uno stile. Come gli stracci, ho molti stili. Tuttavia, sono stato in mostre che discutono del Pop. Poiché questa mostra è principalmente incentrata sugli stracci, non mi sento un artista Pop. Il Pop riguarda la prosperità, sempre proiettato verso un futuro sempre più nuovo. Gli stracci sono un enunciato sulla povertà. Ma non voglio usarli in modo malinconico. Sono interessato alla bellezza e all’efficienza della povertà. Forse sono un artista Pop povero?».33

Le categorie di diversità ed eterogeneità applicate agli stracci riflettono dunque anche la ricerca artistica di Pistoletto che, dopo il successo internazionale negli anni Sessanta dei Quadri Specchianti, e l’invito di Castelli a produrne ancora di più, si era ritirato in studio per un anno creando un intero gruppo di lavori (Oggetti in meno, 1965-1966) inspirati al concetto di anarchia stilistica, in opposizione a una nozione di stile come marchio standardizzato, riconoscibile e commerciale. Oltre a riflettere il carattere interdisciplinare della sua pratica artistica, gli stracci di Berkeley rappresentano, secondo Pistoletto, una trasposizione visiva di una diversità sociale fatta di comunità e classi diverse che convivono una accanto all’altra.34 È probabilmente il nuovo contesto urbano e sociale di Berkeley, e lo scambio con la comunità dei senza dimora della città, a ispirare questa nuova lettura degli stracci in chiave sociologica; una lettura che, come si vedrà sotto, sarà ripresa e approfondita anche da Germano Celant nel saggio scritto per la mostra.
Come gli stracci, anche la Venere acquista nuovi significati nel contesto espositivo statunitense. Nella conversazione con Auping avvenuta poco prima dell’apertura della mostra, Pistoletto dichiara: «Per gli italiani, Venere è la Marilyn Monroe dell’antichità. Rappresenta un’idea statica di bellezza, una bellezza universale che ovviamente non esiste».35 Seppur non citata direttamente, è chiaro che Pistoletto in questo caso pensi alla Marilyn Monroe di Andy Warhol, un’opera che diventò una vera e propria icona dell’arte contemporanea. La Venere degli Stracci ha acquisito, analogamente, lo stesso status all’interno dell’Arte Povera. Viene certamente ritenuta un’opera particolarmente importante anche per le mostre e azioni che Pistoletto presenta nella Bay Area, dal momento che viene scelta per il manifesto che annuncia i quattro eventi [fig. 2].36 La fotografia, scatta da Paolo Pellion, risale a pochi anni prima, quando la Venere fu esposta alla mostra tenutasi al Museo Principe Diego Aragona Pignatelli Cortés di Napoli.37

fig. 2 Manifesto con la Venere degli stracci che annuncia i quattro eventi presentati da Pistoletto nella Bay Area, 1980. Courtesy Archivio Pistoletto.

Era stato lo stesso Pistoletto a volere quell’immagine per il manifesto, avendo riscontrato una precisa analogia tra l’architettura neoclassica della villa napoletana e quella degli edifici istituzionali americani che aveva avuto modo di osservare durante il suo recente soggiorno.38 La stessa Venere di Pistoletto era, inoltre, una replica di una scultura neoclassica, la Venere con mela di Bertel Thorvaldsen.39 La didascalia del poster faceva diretto riferimento alla Venere di Berkeley, definendola una «recente traduzione» di quella esposta a Napoli. Nell’allestimento allo University Art Museum Pistoletto gioca con le possibilità offerte dal complesso spazio architettonico, servendosi degli spazi perimetrali e facendo degli stracci il filo conduttore della mostra, voci di un dialogo che prende vita da diversi punti di osservazione all’interno del museo.40 Così la Venere degli stracci si colloca in relazione diretta con un’altra opera appositamente realizzata per la mostra e installata dalla parte opposta del museo, Freccia di stracci (Arrow of Rags, 1980) [fig. 3], costituita da una freccia di legno posta sopra una balconata ricoperta di stracci. A tal proposito dichiarerà: «Essi [gli stracci] conversano attraverso le balconate in cui sono posti. Le balconate del museo normalmente non sono usate per le esposizioni, […] usandole ho creato una relazione con la nuova architettura […]».41 Il simbolo della freccia tornerà, come si vedrà, in altre opere realizzate durante il soggiorno americano, e vede qui una sua prima presentazione.

fig. 3 Michelangelo Pistoletto, Freccia di stracci, 1980.
Rags, Berkeley, University Art Museum, 1980.
Courtesy Archivio Pistoletto.

La mostra Rags includeva anche Orchestra di stracci (Orchestra of Rags, 1968) [fig. 4], un’installazione multisensoriale con bollitori elettrici, i cui beccucci terminavano con dei richiami per uccelli, posti sotto delle lastre di vetro e circondati da mucchi di stracci.42 All’accensione dei bollitori, l’opera si animava emulando i versi dei volatili, mentre il vapore inumidiva sia gli stracci, facendone percepire l’odore, che le lastre di vetro, dove si formavano delle goccioline d’acqua in seguito a condensazione. Orchestra di stracci era stata presentata per la prima volta nel dicembre 1968 presso il Deposito d’Arte Presente a Torino, in occasione di una performance improvvisata da Lo Zoo insieme al collettivo Musica Elettronica Viva (MEV).43

fig. 4 Michelangelo Pistoletto, Orchestra di stracci, 1968.
Rags, Berkeley, University Art Museum, 1980.
Courtesy Archivio Pistoletto.

Nel museo di Berkeley, l’opera era silente per la maggior parte del tempo, presentata come installazione tridimensionale, ma veniva attivata due volte a settimana, ogni giovedì e sabato, dal 13:30 alle 15:00, quando, per usare un’espressione di Auping, i bollitori erano «in concerto».44 Il curatore ne aveva predisposto anche un accurato piano di manutenzione, incaricando il personale del museo del regolare riempimento dei bollitori e dell’accensione dell’opera.45 Seppur realizzata alcuni mesi dopo, l’opera veniva considerata da Pistoletto direttamente ispirata agli eventi di Amalfi, in quanto capace di ricreare, in sede espositiva, la stessa atmosfera di quei giorni di sperimentazione performativa e multidisciplinare.46 Alcuni elementi dell’opera richiamavano direttamente quell’esperienza: oltre agli stracci, il fischietto per uccelli, che era stato utilizzato già ad Amalfi da Pistoletto.47 Incluse nella mostra erano anche le Colonne di stracci (Column of Rags, 1968), pilastri di legno ricoperti da questi scarti tessili e legati alle diverse versioni dell’opera Monumentino (1968), di cui si parlerà meglio in seguito.48 Nella mostra, oltre alle quattro opere con stracci, venne incluso anche un Quadro Specchiante, Donna sdraiata (Reclining Woman, 1967), concesso in prestito da Diana Fuller che ospitò inoltre negli spazi della propria galleria a San Francisco, durante gli stessi mesi, una personale di Pistoletto.49 Il pubblico americano si sentì provocato dalle opere della mostra Rags e rispose senza mezze misure, sia con grande entusiasmo che con altrettanta ostilità, come si evince dai commenti riportati nell’album dei visitatori che si lasciarono, talvolta, anche andare a dei gesti imprevisti: «[…] una signora, guardando la Venere, si è tolta un golfino di lana rossa che indossava e l’ha buttato negli stracci. Penso fosse una buona risposta».50 Il pieghevole della mostra riportava un testo di Germano Celant intitolato A firmament of Rags (Un firmamento di stracci), che lo stesso autore definì «piuttosto metaforico», preoccupandosi dell’accurata resa del significato in fase di traduzione dall’italiano all’inglese.51 Il critico avanza qui per la prima volta un’interpretazione degli stracci in chiave sociologica, lettura che verrà reiterata anche negli anni successivi e che fu probabilmente suggerita dalle azioni e dai commenti di Pistoletto stesso, che, come si è visto, aveva raccolto questi scarti in giro per la città e aveva guardato al mucchio come traduzione visiva della convivenza sociale.52 In queste opere Celant vede gli «stracci della società», che comprendono «i perversi, i coatti, i terzomondisti, le donne ed i prigionieri».53
Mentre Rags è ancora in corso, Pistoletto presenta, il 26 gennaio 1980, un’azione nello spazio sperimentale 80 Langton Street di San Francisco. Inaugurato nel 1975, lo spazio no profit, rinominato in seguito New Langton Arts, rispondeva alle esigenze delle nuove espressioni artistiche che musei e gallerie si rifiutavano di riconoscere, ospitando azioni performative di arte, musica e danza, mostre di videoarte, letture di poesie, seminari e discussioni.54 Qui Pistoletto realizza una performance dal titolo Venere e il Gran Carro (Venus and the Big Dipper). Una recensione apparsa alcune settimane dopo su “Artweek” a firma di Janice Ross permette di conoscerne lo svolgimento in dettaglio.55 Pistoletto siede in un angolo a terra, all’interno di un perimetro delimitato da cerchi tracciati col gesso. Si alza, cammina al centro della stanza e svuota una busta dell’immondizia da cui escono degli oggetti. Indossa pantaloni larghi, e, dice Ross, la sua espressione è impassibile. Pioppi compare con un vestito verde stropicciato che sembra, sottolinea ancora Ross, preso dagli stracci con cui sta ricoprendo Pistoletto.56 Completamente sommerso, l’artista si rialza sbuffando nuvole di talco bianco, mentre si libera dai vestiti che lo ricoprivano [fig. 5]. I due insieme iniziano ad assemblare stracci, bollitori e lastre di vetro, creando sette diverse versioni dell’Orchestra di stracci che, messe in azione, emettono fischi e vapore. La disposizione ricalca la costellazione del Gran Carro, che racchiude le sette stelle più brillanti di quella dell’Orsa Maggiore. Successivamente Pistoletto crea una pila di mattoni su cui appoggia una vecchia scarpa, installazione memore del Monumentino presentato per la prima volta a Vernazza. Nel frattempo, Pioppi si sveste e si pone, di spalle al pubblico, contro l’alta pila di stracci addossata alla parete, mentre l’artista le spalma una polvere di mica sulla pelle [fig. 6], tornando poi in mezzo agli stracci a leggere il giornale [fig. 7]. L’immagine finale è raggiunta [fig. 8], Pioppi esce di scena.

fig. 5 Michelangelo Pistoletto nella performance Venere e il Gran Carro. 80 Langton Street, San Francisco, 1980. Courtesy Archivio Pistoletto.

fig. 6 Michelangelo Pistoletto e Maria Pioppi nella performance Venere e il Gran Carro. 80 Langton Street, San Francisco, 1980. Courtesy Archivio Pistoletto.

fig. 7 Michelangelo Pistoletto nella performance Venere e il Gran Carro.
80 Langton Street, San Francisco, 1980. Courtesy Archivio Pistoletto.

fig. 8 Maria Pioppi come Venere degli stracci nella performance
Venere e il Gran Carro. 80 Langton Street, San Francisco, 1980.
Courtesy Archivio Pistoletto.

Nella performance confluiscono elementi che erano stati già presentati in opere e azioni precedenti, spunti che vengono però rielaborati e combinati in maniera inedita. La successione di azioni su cui è basata la performance riprende la struttura degli spettacoli de Lo Zoo, e alcuni atti sono citazioni dirette da precedenti come L’Uomo Ammaestrato, in cui l’artista immergeva un giornale nell’acqua e si impegnava a leggerlo seppur bagnato, o costruiva un altro Monumentino con una torre di mattoni e una scarpa.57 Il tema dell’universo, apertamente dichiarato con il riferimento alla costellazione del Gran Carro, viene evocato anche dalla mica, materiale minerale dall’effetto perlato e brillante, che, come una polvere di stelle, Pistoletto aveva distribuito sulla statua in cemento della prima versione della Venere degli stracci (1967). Le orchestre di stracci vengono ricreate sul posto, ma si moltiplicano di numero, mentre le consuete lastre di vetro vengono sostituite da ante di vecchie finestre con annessi i telai in legno. Nel presentare la Venere in carne e ossa, nelle fattezze di Pioppi, Pistoletto sembra voler evocare il mito di Pigmalione e della statua di donna da lui scolpita e di cui egli si era innamorato, statua che infine prenderà vita, diventando persona reale. L’artista aveva già associato la sua compagna e collaboratrice alla dea dell’amore nel Quadro Specchiante Venere con la pipa (1973), dove Pioppi era ritratta mentre fumava, distesa e senza veli. Nella già citata mostra The Knot: Arte Povera at P.S.1, Pistoletto riproporrà nuovamente l’installazione presentata per la prima volta a San Francisco, Venere e il Gran Carro, sostituendo però a Pioppi una statua di Venere.58
Durante il suo soggiorno nella Bay Area, Pistoletto non si confronta soltanto con spazi espositivi istituzionali, come l’University Art Museum di Berkeley, o sperimentali, come 80 Langton Street, ma fa incursioni anche in luoghi non deputati, almeno per vocazionale iniziale, all’arte, dando vita a interessanti interazioni con il contesto pubblico e commerciale. Il terzo episodio delle iniziative presentate nella zona nella baia lo vede infatti impegnato a creare una scultura e un’azione partecipativa nel centro commerciale di Mayfield Mall dal titolo di Freccia Penetrabile (Penetrable Arrow, 1980) [fig. 9].59

fig. 9 Michelangelo Pistoletto, Freccia Penetrabile, 1980.
Mayfield Hall, Palo Alto, 1980.
Courtesy Archivio Pistoletto.

Il progetto venne sponsorizzato dalla Myth America Corporation, un’azienda fondata nel settembre del 1979 con uffici a New York, Los Angeles, Parigi e San Francisco, che aveva inglobato l’arte all’interno del proprio approccio imprenditoriale e sponsorizzava progetti temporanei site-specific in collaborazione con artisti. È direttamente il presidente della compagnia, Lynn Hershman, a scrivere al capo curatore dello University Art Museum di Berkeley, David Ross, per invitare Pistoletto a partecipare al progetto che stava portando avanti a Mayfield Mall per la realizzazione, da parte di dieci artisti, di opere temporanee.60 Si richiedevano lavori di grandi dimensioni, con un approccio sperimentale e multidisciplinare, in stretto dialogo con gli spazi circostanti che i visitatori avrebbero guardato con nuovi occhi.61 Per l’occasione Pistoletto creò una monumentale struttura in legno a forma di freccia, rivestita di alluminio, che rimase in esposizione per circa un mese.62 Alta tre metri e lunga circa otto, l’installazione poteva essere percorsa internamente dai visitatori fino alla punta angolata, dove un’apertura avrebbe permesso loro di vedere, tramite uno specchio posto di fronte, il proprio volto riflesso, e la punta della freccia rivolta verso di sé.63 Pistoletto invitò la gente del posto – studenti, clienti dei negozi, persone di passaggio – a contribuire attraverso un’azione collettiva alla decorazione delle pareti esterne. Un giornale locale intitolò un articolo su questa iniziativa It’s his art, but you can change it, commentando sull’entusiasta ricezione del pubblico: «people really get into it».64 Pistoletto considerava la freccia un tempio dell’arte che, percorso fino alla fine, permetteva la rivelazione del mondo immateriale attraverso quello reale.65 È importante notare come negli Stati Uniti gli spazi chiusi dei centri commerciali, benché privati e dedicati all’acquisto, abbiano avuto fino a pochi anni fa una funzione pubblica che sopperiva, soprattutto al di fuori delle grandi città, alla mancanza di centri di aggregazione sociale offerti dalle istituzioni o ricavati all’interno della pianificazione urbana (parchi, piazze).66 L’atto dello shopping in questi luoghi, inoltre, svolgendosi all’interno di un contesto esperienziale artificialmente costruito, nonché basato sulle categorie di intrattenimento e piacere, magia e liminalità, condivide diversi aspetti con la fruizione artistica.67 L’installazione di Pistoletto dialoga con le caratteristiche specifiche del centro commerciale come spazio architettonico, pubblico e sociale al tempo stesso, invitando passanti e clienti alla partecipazione artistica.
L’ultima tappa nella Bay Area vede l’artista italiano tornare in uno spazio istituzionale, il San Francisco Museum of Modern Art.68 Qui Pistoletto costruisce un ambiente all’interno delle sale del museo unendo le due opere Quadro di fili elettrici (1967) e Tenda di lampadine (1967) [fig. 10] in un’installazione immersiva in cui pareti e vani sono percorsi da fili elettrici con lampadine accese rivolte a terra. Presentata come un’unica opera dal titolo Picture of Electric Wires, sarà esposta al quarto piano del museo, nella sala tre.69

fig. 10 Michelangelo Pistoletto, Quadro di fili elettrici (1967) e Tenda di lampadine (1967).
Michelangelo Pistoletto: An Installation, San Francisco, San Francisco Museum of Modern Art, 1980. Courtesy Archivio Pistoletto.

Come nel caso degli stracci, anche queste opere erano legate alla produzione della fine degli anni Sessanta. Tenda di lampadine era stata anche esposta, come si è visto, agli Arsenali di Amalfi, dove segnava il limite tra luogo espositivo e luogo performativo. La residenza di Pistoletto nella Bay Area nel corso dei mesi di gennaio e febbraio del 1980 ha generato opere, installazioni, e azioni che hanno coinvolto diverse tipologie di residenti: da un pubblico tradizionalmente legato a spazi istituzionali a una fascia più giovane interessata a forme d’arte più sperimentali, da dei clienti di un centro commerciale a delle persone senza dimora. Esplorando attraverso l’arte la complessità della stratificazione sociale americana e le contraddizioni di un capitalismo che si traduce in grandi divari economici, l’artista ha promosso una partecipazione dal basso e trovato nuova ispirazione. Inizialmente intrapreso con la volontà di far conoscere una parte della sua produzione meno nota negli Stati Uniti, il viaggio di Pistoletto si è trasformato, nello stretto dialogo instaurato con il contesto della Bay Area, in uno strumento di analisi e sviluppo della propria ricerca artistica, all’insegna dello scambio umano e artistico.

Note
1. Vorrei esprimere la mia profonda riconoscenza a Magazzino Italian Art, che ha reso possibile lo svolgimento di questa ricerca durante la mia residenza, e a Marco Farano dell’Archivio Pistoletto per il prezioso dialogo e supporto archivistico.
2. La Bay Area comprende nove contee che circondano l’area della baia di San Francisco ed è la quinta area metropolitana degli Stati Uniti. Il materiale d’archivio analizzato è conservato presso il Berkeley Art Museum and Pacific Film Archive di Berkeley e Archivio Pistoletto di Cittadellarte – Fondazione Pistoletto di Biella. Al fine di fornire una completa ricostruzione degli eventi, oltre al materiale archivistico si è fatto ricorso a interviste pubblicate in cataloghi di mostre e periodici. L’uso della fonte orale nell’ambito della storia dell’arte contemporanea rappresenta un approccio metodologico consolidatosi in ambito anglosassone a livello istituzionale. Alcuni esempi a tal proposito sono: l’Artist Oral History Initiative degli archivi del Museum of Modern Art (MoMA, New York), l’Oral History Program degli Archives of American Art (The Smithsonian Institution, Washington DC), e l’Oral History Collection della Slade School of Fine Art, University College London (UCL, Londra).
3. Michelangelo Pistoletto: Mirror-Works, Houston, Rice Museum, 16 febbraio – 15 aprile 1979. Oggi non più esistente, il museo, spazio espositivo della Rice University, era nato come struttura temporanea nel 1969 grazie all’interessamento dei collezionisti e mecenati John e Dominique de Menil. Per maggiori dettagli si veda Mimi Crossley, “Artists at work. Pistoletto’s mirror paintings”, The Houston Post, 9 febbraio 1979, p. 10; Mimi Crossley, “Michelangelo Pistoletto: Mirror-Works”, The Houston Post, 23 febbraio 1979, p. 12.
4. Pistoletto promuove una collaborazione artistica anche all’interno del proprio nucleo familiare, come si evince dall’opera Family Work (1979), costituita da quattro dipinti, realizzati insieme alla compagna Maria Pioppi e alle figlie Petra e Armona, posti in dialogo con gli elementi architettonici del City Hall di Atlanta, dove si tenne la conferenza stampa in cui il sindaco presentò ufficialmente la residenza artistica di Pistoletto e il suo progetto di Creative Collaborations. Anne Livet, “Michelangelo Pistoletto. The Same Thing Only Different”, Contemporary Art Southeast, n. 2, 1979, p. 23. Maria Pioppi, che fu protagonista di molte azioni e opere a firma di Pistoletto, aveva studiato all’Accademia di Belle Arti di Roma tra il 1956 e il 1959 insieme a Jannis Kounellis e Pino Pascali. Traferitasi in Iran, dove aveva vissuto dal 1961 al 1965, una volta tornata a Roma aveva lavorato nelle gallerie La Tartaruga di Plinio de Martiis e Arco d’Alibert di Mara Coccia. Conosce Pistoletto nel 1967 e si trasferisce con lui a Torino subito dopo, diventando, oltre che sua compagna di vita, un’attiva interlocutrice e collaboratrice dell’artista. Si veda “Maria Pioppi in conversazione con Silvia Eiblmayr”, in Matthias Dusini e Silvia Eiblmayr (a cura di), Michelangelo Pistoletto. Azioni Materiali, König, Köln, 1999, pp. 179-185. Le informazioni aggiuntive riguardanti le vicende biografiche e professionali di Maria Pioppi sono state fornite dall’Archivio Pistoletto. Per un approfondimento sull’interrelazione tra legami personali e artistici nel contesto italiano, si rimanda a Sharon Hecker e Teresa Kittler (a cura di), Art and Intimacy in Modern Italy. Entangled Lives, Bloomsbury, London, 2025.
5. Furniture Environment, Athens, Georgia Museum of Art, 15 aprile – 10 maggio 1979. Ad Athens Pistoletto realizza anche l’azione Walking Art.
6. “Pistoletto”, LAICA Newsletter, n. 60, dicembre 1979. Il titolo della mostra, Minus Objects, non riflette l’eterogeneità delle opere esposte. Minus Objects, Los Angeles, Los Angeles Institute of Contemporary Art (LAICA), 15 dicembre 1979 – 18 gennaio 1980.
7. Per approfondimenti si rimanda a Thomas Albright, Art in the San Francisco Bay Area 1945-1980. An Illustrated History, University of California Press, Berkeley-Los Angeles, 1985; Art Around the Bay. A Guide to Art Galleries and Museums in the San Francisco Bay Area, Trumpetvine Press, Cupertino, 1990.
8. Judy Chicago, The Dinner Party, San Francisco Museum of Modern Art, San Francisco, 14 marzo – 17 giugno 1979.
9. «From grainy black-and-white photos, it [Arte Povera] appeared to be a European version of American post-Minimalism. Stephen assured me that it wasn’t, and that Americans needed to see Art Povera in the flesh to understand it, hence he and Anne’s initiative to set up an American itinerary for Pistoletto, who many consider to be the founding father of the movement» Michael Auping, “Society and Surface: Two Interviews with Michelangelo Pistoletto”, in Michelangelo Pistoletto. Mirror Paintings, Hatje Cantz, Ostfildern, 2011, p. 50. Sebbene tale testimonianza rimanga dell’ambito dell’individualità, evidenzia dei punti di particolare interesse, come ad esempio la conoscenza dell’Arte Povera attraverso la fonte fotografica, verosimilmente legata alla diffusione del libro di Celant apparso negli Stati Uniti nel 1969 (Germano Celant, Art Povera, New York-Washington, Praeger Publishers, 1969).
10. Auping, “Society and Surface…”, 2011, p. 59.
11. Per una cronologia dell’Arte Povera, si veda Germano Celant (a cura di), Arte Povera. Storia e storie, Electa, Milano, 2011.
12. Celant, Art Povera, 1969. In quegli stessi anni (1967-1970) Celant si fece promotore di un programma espositivo volto a promuovere l’Arte Povera principalmente a livello nazionale, mentre il contesto internazionale fu raggiunto grazie al progetto editoriale del 1969 con il già citato volume che fu pubblicato in diverse lingue (italiano, inglese, tedesco) in Italia, nel Regno Unito, negli Stati Uniti e in Germania. Per una ricostruzione degli eventi espositivi e per una cronistoria dell’Arte Povera si rimanda a Celant, Arte Povera 2011. Tra gli anni Sessanta e Settanta i singoli artisti del gruppo furono tuttavia presenti con diverse mostre negli Stati Uniti. Si veda: Lara Conte, “Percorsi attraverso l’Arte Povera negli Stati Uniti. 1966-1972”, in Celant, Arte Povera 2011, pp. 328-349; Raffaele Bedarida, Exhibiting Italian art in the United States from Futurism to Arte Povera “Like a Giant Screen”, Routledge, New York, 2022, pp. 164-216.
13. The Knot: Arte Povera at P.S.1, a cura di Germano Celant, New York, P.S.1 The Institute for Art and Urban Resources, 6 ottobre – 15 dicembre 1985.
14. «From the trip, it was clear, that of Michelangelo’s work, only the Mirror paintings are known. He hopes to remedy this through the realization of on-site installation and environments, and would be grateful for such an opportunity at the University Art Museum. Therefore, I am writing to ask for your consideration». Berkeley, Berkeley Art Museum and Pacific Film Archive (d’ora in poi BAMPFA Archives), Stephen Reichard, Lettera a James Elliott, 15 febbraio 1978. Dove non diversamente specificato, le traduzioni sono dell’autrice.
15. «Michelangelo was most enthusiastic about Berkely out of all the museums he visited in 1977», BAMPFA Archives, Stephen Reichard, Lettera a James Elliott, 9 febbraio 1979.
16. Per maggiori dettagli si rimanda a: Bianca Pedace, Interrelazioni tra l’arte italiana e gli Stati Uniti (1963-1971), Rubbettino, Soveria Mannelli, 2018, pp. 109-213.
17. «These works are basic to the beginning of arte povera in Italy», BAMPFA Archives, Stephen Reichard, Lettera a James Elliott, 27 agosto 1979.
18. Michelangelo Pistoletto, “Intervista di Marjorie Welish”, Flash Art, n. 100, novembre 1980, p. 29. Per il legame tra le opere e il contesto politico del ’68 si veda anche Claire Gilman, “Il teatro oggettuale di Pistoletto”, in Carlos Basualdo (a cura di), Michelangelo Pistoletto: da uno a molti, 1956-1974, Electa, Milano, 2011, p. 115.
19. Arte Povera+Azioni Povere, a cura di Germano Celant, Amalfi, Arsenali dell’Antica Repubblica, 4-6 ottobre 1968.
20. Per la testimonianza di Pistoletto, si veda Michelangelo Pistoletto, “Note di lavoro”, in Germano Celant (a cura di), Pistoletto, Electa, Milano, 1976, p. 40. Le opere con rovine e stracci ad Amalfi sono: Strada romana e stracci (1968), Capitello e stracci (1968), Sarcofago e stracci (1968).
21. Gilman, “Il teatro oggettuale di Pistoletto”, 2011, p. 109.
22. Michelangelo Pistoletto. Il varco dello specchio: azioni e collaborazioni 1967-2004, Fondazione Torino Musei, Torino, 2005, p. 82.
23. “Michelangelo Pistoletto in conversazione con Germano Celant”, in Germano Celant (a cura di), Pistoletto, Electa, Firenze, 1984, p. 73.
24. Rags, Berkeley, University Art Museum, 16 gennaio – 2 marzo 1980. MATRIX è un programma di mostre monografiche dedicato all’arte contemporanea, creato nel 1978 dall’allora direttore James Elliott. Oltre a Pistoletto, ha coinvolto un grande numero di artisti importanti quali, tra gli altri, James Lee Byars, Willem de Kooning, Louise Bourgeois, Richard Serra, Joseph Cornell, Andy Warhol, Chuck Close, Eva Hesse, Nan Goldin, e Barbara Kruger.
25. L’edificio dove ebbe sede lo University Art Museum fu progettato nel 1970 dall’architetto Mario Ciampi, insieme a Richard L. Jorasch e Ronald E. Wagner, in stile brutalista e venne dismesso nel 2014 per problemi strutturali. Rimesso in sicurezza, è oggi sede del Bakar BioEnginuity Hub. Il museo, rinominato Berkeley Art Museum and Pacific Film Archive (BAMFA), ha attualmente sede in un ex edificio industriale in stile Art Déco rinnovato dall’architetto giapponese Tyo Ito.
26. In riferimento alle opere esposte e azioni presentate da Pistoletto, nel presente testo si utilizzano i titoli in italiano, riportando tra parentesi i titoli in lingua inglese con cui furono originalmente presentate negli Stati Uniti.
27. Pistoletto, “Intervista di Marjorie Welish”, 1980, p. 29.
28. «The rags here in Berkely are fantastic! There are so many beautiful people carrying rags in shopping carts, and there are piles of rags everywhere on Telegraph Avenue. […] I bought some rags from them, and some of them wanted to donate rags for the pieces in this show. They are nomads carrying their beautiful colors, the flags of a nomadic society». Michelangelo Pistoletto intervistato da Michael Auping, 18 dicembre 1979, Berkeley. Pubblicato in Michael Auping, “Venus of the Rags”, in Michael Auping, 30 Years: Interviews and Outtakes, Modern Art Museum of Forth Worth, Forth Worth, 2007, p. 245.
29. Gli stracci presi sul posto saranno però lasciati a Berkeley, e non seguiranno le opere (e gli stracci originali) a New York, dove i lavori verranno spediti dopo la fine della mostra. BAMPFA Archives, Stephen Reichard, Lettera a Michael Auping, 26 febbraio 1980.
30. L’attuale emergenza dei senza dimora negli Stati Uniti ha le proprie radici proprio tra gli anni Settanta e Ottanta, e fu causata da diversi fattori concomitanti quali la deindustrializzazione, la transizione a un’economia terziaria, i tagli al welfare, l’aumento dei prezzi degli immobili con la gentrificazione, la riduzione delle abitazioni a basso costo, la scarsa remunerazione del lavoro, e l’abbandono da parte dello stato di pazienti con problemi di salute mentale in seguito alla chiusura delle strutture sanitarie preposte e dei veterani di guerra, inclusi quelli tornati dalla Guerra del Vietnam (1955-1975). Per approfondimenti, si rimanda a Joel Blau, The Visible Poor. Homelessness in the United States, Oxford University Press, Oxford, 1992, e Peter H. Rossi, Down and Out in America. The Origins of Homelessness, University of Chicago Press, Chicago, 1989.
31. Auping, “Venus of the Rags”, 2007, p. 245.
32. Ibidem.
33. «I’m not sure when Pop began. That’s a question for the historians. I use many different images. I don’t know if my art could be called Pop. I don’t think of myself as having a style. Like the rags, I have many styles. However, I have been in exhibitions that discuss Pop. Since this exhibition is mostly about rags, I don’t feel like a Pop artist. Pop is about prosperity, always moving forward to a newer and newer future. The rags are a statement about poverty. But I don’t want to use them [the rags] in a melancholic manner. I am interested in the beauty and efficiency of poverty. Maybe I am a poor Pop artist?». Ivi, p. 246.
34. Ibidem.
35. «For Italians, Venus is the Marilyn Monroe of antiquity. She represents a static idea of beauty, a universal beauty that of course that not exist». Ibidem.
36. Era in programma anche la pubblicazione di un catalogo, proposta dal direttore di LAICA Robert L. Smith, per documentare le diverse attività svolte da Pistoletto in California, che però non vide mai la luce. BAMPFA Archives, Robert L. Smith, Lettera a Michael Auping, 5 febbraio 1980.
37. Michelangelo Pistoletto, Museo Principe Diego Aragona Pignatelli Cortés, Napoli, febbraio-marzo 1977.
38. Pistoletto, “Intervista di Marjorie Welish”, 1980, p. 29.
39. Per uno studio iconografico della Venere degli stracci, si rimanda a Roberta Minnucci, “Heaps of Rags and Double Visions. The Interpretation of the Classical Venus in Arte Povera”, IKON. Journal of Iconographic Studies, vol. 13, 2020, pp. 361-371.
40. Pistoletto non ha a disposizione gli spazi espositivi normalmente deputati alle mostre per il suo progetto, ma quelli ricavati nei diversi piani all’interno della complessa architettura angolare del museo, oltre all’atrio. BAMPFA Archives, Michael Auping, Lettera a Michelangelo Pistoletto, 28 novembre 1979. In concomitanza con Rags di Pistoletto, il museo ospita nei suoi spazi principali altre due mostre: Franz Marc: Pioneer of Spiritual Abstraction e The Face of China As Seen by Photographers & Travelers, 1860-1912.
41. Pistoletto, “Intervista di Marjorie Welish”, 1980, p. 29.
42. Pistoletto ha creato varie versioni di quest’opera, con i titoli di Orchestre di stracci, Orchestra degli stracciIl grande carro e Concerto di stracci.
43. Gilman, “Il teatro oggettuale di Pistoletto”, 2011, p. 112. Per il Deposito d’Arte Presente si veda Robert Lumley, “Arte Povera in Turin: The intriguing case of the Deposito d’Arte Presente”, in Francesco Manacorda e Robert Lumley (a cura di), Marcello Levi: Portrait of a collector, Hopefulmonster, Torino, 2005, pp. 89-107.
44. BAMPFA Archives, Michael Auping, Lettera a Diane Dame, 15 gennaio 1980.
45. Ibidem.
46. “Michelangelo Pistoletto in conversazione con Germano Celant”, 1984, p. 73.
47. Michelangelo Pistoletto. Il varco dello specchio, 2005, p. 86.
48. Poco prima della conclusione della mostra, Pistoletto offrirà al museo la possibilità di tenere Colonne di stracci come prestito a lungo termine. BAMPFA Archives, Stephen Reichard, Lettera a Michael Auping, 26 febbraio 1980. Non emerge dal materiale archivistico consultato la decisione del museo a tal proposito.
49. Reflections, Hansen Fuller Goldeen Gallery, San Francisco, 7 febbraio – 1° marzo 1980. Per le opere esposte, si veda “Michelangelo Pistoletto in conversazione con Germano Celant”, 1984, p. 207.
50. Pistoletto, “Intervista di Marjorie Welish”, 1980, p. 29.
51. «Dear Michael, here is the text on Pistoletto’s rugs. It is quite “metaphoric”, so please try to control the exact translation, perhaps with Pistoletto himself». BAMPFA Archives, Germano Celant, Lettera a Michael Auping, 19 dicembre 1979.
52. Celant riproporrà questa lettura nel saggio di catalogo della mostra di Pistoletto al The Institute for Contemporary Art P.S. 1 Museum, New York, 2 ottobre – 27 novembre 1988. Germano Celant, “Reflections of lava”, in Germano Celant e Alanna Heiss (a cura di), Michelangelo Pistoletto. Division and Multiplication of the Mirror, Fabbri Editori, Milano, 1988, p. 26.
53. BAMPFA Archives, Germano Celant, Un firmamento di stracci, dattiloscritto del testo originale in italiano.
54. Per maggiori dettagli, si veda New Langton Arts: The First Fifteen Years, New Langton Arts, San Francisco, 1990. Per la scena della performance in California, si rimanda a Carl E. Loeffler e Darlene Tong (a cura di), Performance Anthology. Source Book of California Performance Art, Last Gasp Press-Contemporary Arts Press, San Francisco, 1989.
55. Janice Ross, “Michelangelo Pistoletto. Performance”, Artweek, 16 febbraio 1980, ripubblicato in 80 Langton Street: June 1979-April 1980, 80 Langton Street Corporation, San Francisco, 1980, pp. 63-65. Si veda anche Michelangelo Pistoletto. Il varco dello specchio, 2005, p. 194.
56. Ross non conosce l’identità di Maria Pioppi, a cui si riferisce con termini quali “donna” o “assistente di Pistoletto”, specificando che nel programma non si menziona il suo nome. Il nome di Pioppi viene però aggiunto quando l’articolo viene ripubblicato in 80 Langton Street, 1980.
57. Per maggiori dettagli su L’Uomo Ammaestrato si rimanda a Gilman, “Il teatro oggettuale di Pistoletto”, 2011, p. 101, e Michelangelo Pistoletto. Il varco dello specchio, 2005, pp. 82-86.
58. La sola opera Il Gran Carro sarà esposta di nuovo alla mostra personale di Pistoletto a Toronto, Art Gallery of Ontario e Istituto italiano di cultura, 28 febbraio – 20 aprile 1986.
59. Il centro commerciale Mayfield Mall, San Antonio Road, aprì nel 1966 e chiuse i battenti nel 1983. Nicholas Perry, Images of America. Mountain View, Arcadia Publishing, Charleston, 2006, p. 17.
60. BAMPFA Archives, Lynn Hershman, Lettera a David Ross, 25 novembre 1979.
61. “Artist Interpretation of Mayfield Mall”, in Pistoletto (pieghevole della mostra, Palo Alto, Mayfield Hall, 30 gennaio – 28 febbraio 1980), Palo Alto, 1980.
62. Michelangelo Pistoletto. Penetrable Arrow, Mayfield Hall, Palo Alto, 30 gennaio – 28 febbraio 1980. L’artista riutilizzerà il simbolo della freccia per l’installazione One Arrow alla Clocktower di New York (marzo-aprile 1980), dove presenterà un’enorme freccia costituita da gabbie metalliche contenenti stracci, terra e ossi.
63. Michelangelo Pistoletto. Il varco dello specchio, 2005, p. 196.
64. «È la sua arte, ma puoi cambiarla»; «le persone ne sono davvero catturate». “It’s his art, but you can change it”, The North County Week, 6 febbraio 1980.
65. Pistoletto, “The Penetrable Arrow”, in “Artist Interpretation of Mayfield Mall”, 1980.
66. Si veda a tal proposito Lisa Scharoun, America at the Mall. The Cultural Role of a Retail Utopia, McFarland & Co., Jefferson, 2012, pp. 88-96.
67. Per approfondimenti: Mark H. Moss, Shopping as an Entertainment Experience, Lexington Books, Lanham, 2007.
68. Michelangelo Pistoletto: An Installation, San Francisco, San Francisco Museum of Modern Art, San Francisco, 29 febbraio – 30 marzo 1980.
69. San Francisco, SFMoMA-San Francisco Museum of Modern Art Archives, Michelangelo Pistoletto: An Installation, comunicato stampa.