Arte come esperienza dell’esperienza: Germano Celant
sulla rotta di
Los Angeles
Laura Conconi
Abstract Germano Celant’s direct knowledge of the environmental research of California artists, within the Los Angeles context, represents a pivotal moment in the critical and theoretical framework that later shaped the exhibition Ambiente/Arte. Dal Futurismo alla Body Art (Venice Biennale, 1976), and the following monographic volume. This article aims to outline Celant’s first trip to Los Angeles in fall 1974, highlighting Giuseppe Panza di Biumo’s role. It then traces how this experience shaped his later writings up to Ambiente/Arte.
Keywords Germano Celant; Los Angeles; Giuseppe Panza di Biumo; Pratiche ambientali / Environmental Practices; Artisti californiani / Californian Artists
Laura Conconi, diplomata alla Scuola di Specializzazione in Beni storico-artistici all’Università degli Studi di Udine, è ricercatrice presso Studio Celant, Milano. Per Studio Celant ha redatto la cronologia pubblicata nella monografia dedicata a Remo Salvadori (Skira, 2025); si sta, inoltre, occupando della ricerca scientifica relativa all’opera e alla vita di Arman tra il 1975 e il 2005 (Silvana Editoriale, in corso di pubblicazione). Nel 2023 ha partecipato come relatrice ai convegni Germano Celant. Cronistoria di un critico militante alla Fondazione Giorgio Cini (Il Futurismo nell’immaginario di Germano Celant: un bacino d’idee) e Armi improprie. Lo stato della critica d’arte in Italia all’Università IULM (Verso una con-fusione dei linguaggi: i contributi di Germano Celant su “Casabella” (1965-1967)). Dal 2013 al 2020 è stata assistente di Germano Celant occupandosi, tra l’altro, della ricerca e del coordinamento del volume + Spazi. Le gallerie Toselli (Johan & Levi, 2019).
«La densità tra automobili e abitanti, a Los Angeles, è quasi identica. La città ha una macchina ogni abitante e mezzo. Questo significa che giornalmente ogni individuo spende diverse ore sulle freeways o sulle strade cittadine. È solo, ed il continuo ritmo di spostamento lo porta ad una perdita del centro spazio/temporale. La condizione di solitudine e la dimensione irreale sono determinanti […] è la città di Los Angeles, la cui area urbana eguaglia quasi quella della regione Toscana. Data l’ampiezza, la struttura urbanistica della città è difficilmente identificabile. Tutto è organizzato secondo le linee irraggianti delle freeways per cui il sintomo di precarietà spaziale è continuo. Esso può essere superato soltanto da una ricognizione aerea. L’aereo è un’altra delle particolarità della città californiana, poiché Los Angeles comprende le più grandi industrie aerospaziali americane, nonché il maggior numero di aerei ed aeroporti privati. A questo si aggiunge la possibilità spazio/temporale di passare, in poco più di un’ora, da situazioni climatiche e naturali completamente diverse, quali dal deserto all’oceano e dalla città alle montagne rocciose».1
«A Los Angeles la distinzione di confine tra natura artificiale e natura naturale è quasi impossibile. […] la differenza tra luce diurna e notturna è annullata dalla costante presenza di una luce artificiale, che dilatandosi orizzontalmente alla sera e alla notte elimina il buio, creando una continuità tra giorno e notte».2
Questo è il vivido ritratto di Los Angeles proposto da Germano Celant all’inizio dell’estate del 1975 sulle pagine di “Domus” e “Casabella”. Le descrizioni con cui principiano gli articoli, oltre a essere quasi del tutto sovrapponibili, fungono da introduzione a una breve e circoscritta presentazione delle peculiarità che accomunano le pratiche artistiche di Michel Asher, Robert Irwin, Bruce Nauman, Maria Nordman, Eric Orr, James Turrell e Doug Wheeler. Celant li redige a qualche mese di distanza da quello che, secondo i documenti esaminati sino a oggi, può essere considerato il suo primo viaggio in California e a Los Angeles, avvenuto nell’autunno del 1974. La conoscenza della città e della sua proposta artistica risulterà uno snodo germinale e cruciale nel direzionare la sua attenzione verso pratiche installative e immersive. Dall’interesse per queste ricerche nascerà la mostra Ambiente/Arte. Dal Futurismo alla Body Art, allestita in una porzione del Padiglione Centrale durante la Biennale di Venezia.3
L’esposizione veneziana, dedicata alla genealogia di tali pratiche a partire dall’inizio del Novecento, ricopre un ruolo pionieristico per la conoscenza in Italia di questa tipologia di arte californiana, qui presentata per la prima volta sul territorio nazionale in modo sistematico e corale, come epilogo delle ricerche che si esprimono su scala ambientale. Segnerà, inoltre, un punto di non ritorno all’interno della carriera di Celant, le cui ripercussioni teoriche e critiche sono individuabili sino a progetti tardivi come le mostre curate in Fondazione Prada When Attitudes Become Form. Bern 1969/Venice 2013, a Venezia nel 2013 e Post Zang Tumb Tuuum. Art Life Politics Italia 1918-1943 a Milano nel 2018.
Un debito riconosciuto dallo stesso critico che in anni recenti, nel testo introduttivo all’anastatica di Ambiente/Arte dal Futurismo alla Body Art, ne sottolinea la centralità: «avevo conosciuto, vivendo spesso nei loro studi, i protagonisti dei light spaces come Doug Wheeler, Robert Irwin, Maria Nordman, Michael Asher ed Eric Orr – con il risultato di essermi messo a studiare la storia dell’environment in rapporto alle vicende storiche e moderne».4
L’approfondimento proposto nel presente contributo si inserisce nel quadro degli studi dedicati agli scambi transatlantici tra Italia e Stati Uniti di cui Celant fu uno dei principali promotori, circoscrivendo tuttavia il proprio campo d’indagine alla città di Los Angeles.5 All’interno di questa perimetrazione geografica saranno prese in considerazione le ricerche degli artisti sopra menzionati, ai quali la critica sin dalla fine degli anni Sessanta si riferisce con il lemma Light and Space art,6 omettendo altri fecondi rapporti nati durante la frequentazione da parte di Celant della scena losangelina.7
Questa etichetta, come si vedrà, non viene adottata dal critico nel periodo analizzato: egli preferirà, invece, evidenziare la centralità dell’esperire nella fenomenologia di queste opere e la loro stretta connessione, se non derivazione, al precipuo contesto sociale, storico, ambientale, culturale e urbanistico di Los Angeles. All’interno di questo inquadramento sarà, altresì, messo in evidenza il ruolo ricoperto da Giuseppe Panza di Biumo nella conoscenza di tali pratiche da parte di Celant, configurandosi come importante incentivo per il critico a sperimentarle direttamente nei luoghi della loro creazione. Un’analisi esaustiva del tema qui delineato richiederebbe un’estensione alla ricezione della critica – in particolare quella italiana – dei fatti menzionati. Tale prospettiva, tuttavia, eccede i confini del presente lavoro e si auspica possa essere esplorata in altri contesti.
È nell’ambiente genovese della prima metà degli anni Sessanta che si collocano tanto l’inizio dell’interesse di Celant per l’arte americana e il suo sistema – grazie a Eugenio Battisti – quanto uno dei suoi primi contatti con la realtà californiana.8
Nel 1965, infatti, viene ufficializzata la collaborazione tra l’art dealer Eugenia J. Butler e la Galleria del Deposito di Genova: «Il Gruppo Cooperativo di Boccadasse è rappresentato negli USA da Eugenia J. Butler – 533 South Rimpau Boulevard – Los Angeles 5 (California) – tel. Madison 7-6041, ove si possono trovare le opere degli artisti del gruppo e tutte le informazioni ad esso inerenti».9
Grazie a questa sinergia viene aperta, sempre nello stesso anno, una succursale del Gruppo di Boccadasse a Los Angeles, dove ha luogo una mostra di multipli prodotti dalla galleria, mentre Eugenio Carmi, tra i fondatori della cooperativa, tiene una lezione alla Southern California University della città [fig. 1].10
fig. 1 Verso di Mostra n. 22. Marcello Morandini,
bollettino della Galleria del Deposito, Genova, 1965.
Se in ambito italiano nella seconda metà degli Sessanta notizie del panorama californiano sono riportate nei reportage e nei diari di viaggio di Fernanda Pivano con Ettore Sottsass jr e Piero Gilardi,13 nonché per la circuitazione di opere di artisti come Bruce Nauman e John Baldessari è necessario riconoscere il ruolo svolto da galleristi come Gian Enzo Sperone, Konrad Fischer, Ileana Sonnabend e Leo Castelli, per rilevare, invece, un interesse per pratiche immersive come quelle sviluppate da Irwin e Wheeler occorre allargare la prospettiva al territorio europeo. Illuminati direttori di musei, come Edy de Wilde e Jean Leering che viaggiano alla volta della California a partire dal 1968, avevano già intuito la potenzialità delle ricerche ambientali della West Coast, innescando una circuitazione di opere e di informazioni che in Italia nella prima metà degli anni Settanta ha come principale destinatario Giuseppe Panza di Biumo.14
Primo fra tutti Nauman [fig. 2] – artista che fra quelli menzionati forse sfugge a una mera categorizzazione – presente già nel 1968 a Düsseldorf nella Galerie Konrad Fisher, alla quale è necessario riconoscere un ruolo seminale per la conoscenza dell’arte americana in Europa e viceversa,15 e a Prospect 68: Internationale Vordchau auf die Kunst in den Galerien der Avantgarde con la galleria di Ileana Sonnabend, oltre che a Kassel insieme a Robert Irwin in occasione della quarta edizione di documenta, l’ultima curata da Arnold Bode e soprannominata per la provenienza degli artisti “Americana”. L’anno successivo l’artista è presente insieme a un altro californiano, John Baldessari, a Konzeption-Conception. Dokumentation einer heutigen Kunstrichtung al Städtisches Museum a Leverkusen, a Parigi nella Galerie Ileana Sonnabend, ma anche nelle importanti rassegne Op Losse Schroeven. Situaties en cryptostructuren e Live in Your Head. When Attitudes Become Form. Works, Concepts, Processes, Situations, Information, per poi arrivare in Italia nel 1970 alla Galleria Sperone a Torino.16
fig. 2 Bruce Nauman e Germano Celant,
Galleria Sperone, Torino, 1970.
Foto © Paolo Mussat Sartor.
Verosimilmente grazie a Sperone per il quale curerà insieme a Pier Luigi Pero una collana di libri d’artista,17 Celant inizia ad approfondire la conoscenza delle opere di Nauman, come testimoniato da un articolo monografico a lui dedicato che compare a febbraio 1970 su “Casabella” anticipando di qualche mese la presenza dell’americano nella mostra Conceptual Art Arte Povera Land Art alla Galleria Civica d’Arte di Torino.18 In questi anni il nord Europa è, in generale, l’ingresso privilegiato per l’arte americana: Edy de Wilde organizza nel 1969 una mostra con lavori di Irwin e Wheeler allo Stedelijk Museum ad Amsterdam;19 lo stesso anno sempre Wheeler è presente nello stand della galleria ACE di Los Angeles a Prospect 69, edizione a cui partecipa anche la gallerista losangelina Eugenia Butler;20 a fine 1969 Leering, Eugen Thiemann e Zdenek Felix curano Kompas 4:Westkust USA / West Coast USA esposizione itinerante che inaugura allo Stedelijk Van Abbemuseum di Eindhoven per spostarsi l’anno successivo a Dortmund al Museum am Ostwall e alla Kunsthalle di Berna. Sempre nel 1970, Alfred Schmela nella sua galleria a Düsseldorf ospita la prima personale europea di Wheeler, alla quale segue la sua presenza insieme a Larry Bell alla Tate Gallery di Londra.21
A Milano, ma già nel decennio successivo, una posizione d’avamposto è occupata dalla galleria di Franco Toselli, il quale, dopo un viaggio nell’inverno del 1972 a Los Angeles insieme a Marco Bagnoli ed Emilio Prini, presenta due lavori site-specific: il primo di Michael Asher tra settembre e ottobre 1973, che apre un mese dopo la personale dell’artista nella Galerie Heiner Friedrich a Colonia, e il secondo di Maria Nordman esattamente un anno dopo.22
Una certa apertura verso il panorama californiano si registra anche a Genova grazie l’attività della Galleriaforma, con la quale Celant collabora nella prima metà degli anni Settanta: il 13 maggio 1973 si inaugura la mostra personale di Marcia Hafif e all’inizio del 1974 quella di Eleonor Antin.
Negli anni precedenti al 1974, come accennato, la mostra Conceptual Art Arte Povera Land Art attesta entro il percorso celantiano la prima presenza cospicua di artisti californiani: Walter De Maria, Michael Heizer,23 Bruce Nauman e John Baldessari, la cui opera appare in Italia per la prima volta in questa occasione.24 A partire da questa circostanza Celant intraprende un rapporto epistolare con quest’ultimo al quale nell’autunno del 1970 scrive: «Dear John, thank you for your letter. I am preparing the third book on contemporary situation, and I should need your documentation […] Let me know something about your work. I am always interested to come to California perhaps in February. Do you think it will be possible to have some lectures for this period?».25
A pochi mesi dalla chiusura della mostra torinese il critico stava, dunque, lavorando a un progetto editoriale dedicato ad alcune ricerche artistiche contemporanee, un volume che avrebbe idealmente proseguito un percorso iniziato con la pubblicazione di Arte Povera edita da Mazzotta nel 1969, al quale seguiva il catalogo di Conceptual Art Arte Povera Land Art. In questa prospettiva il viaggio in California doveva forse essere un mezzo per entrare in contatto diretto con alcuni artisti, il cui lavoro sarebbe stato poi documentato nel citato progetto, tuttavia mai realizzato. Inoltre, la richiesta di tenere delle conferenze rivolta a Baldessari, a quel tempo docente alla CalArts, doveva soddisfare sicuramente un’esigenza di natura economica, ma poteva anche tramutarsi in un’opportunità per far conoscere sulla West Coast il panorama delle ricerche al quale il critico si stava dedicando, nell’idea di un riconoscimento dell’Arte povera e della propria carriera su scala internazionale.
L’esperienza in prima persona dell’arte californiana nel luogo della sua creazione è anticipata e preparata da un altro “viaggio”: quello attraverso la collezione del Conte Panza di Biumo. Non si tratta solamente di un’introduzione a lavori di artisti incontrati poi a Los Angeles, ma più genericamente la familiarizzazione con temi e problematiche legati all’esposizione di opere a carattere ambientale.
Celant conosce il Conte alla fine degli anni Sessanta e tra i due s’instaura velocemente un rapporto di stima: «Vedevo spesso Celant e ogni colloquio era un serrato scambio di opinioni, di giudizi, di riflessioni sul significato di un’arte sconosciuta, anche all’ambiente intellettuale», ricorderà Panza, «Era una delle poche persone con cui scambiare idee in un paese come l’Italia, dove le informazioni più interessanti arrivavano in ritardo. In quel periodo Celant è stato importante per confermare e approfondire le mie scelte».26
Panza, già prima del 1974, direziona la propria attenzione verso le ricerche di alcuni artisti californiani: nel 1968 conosce Irwin tramite Arnold Glimcher, gallerista e proprietario della Pace Gallery di New York, si interessa poi al lavoro di Turrell e Wheeler grazie alla risonanza ottenuta dall’attività espositiva del Pasadena Museum, e nel 1970 visita la mostra di Wheeler e Irwin allo Stedelijk Museum di Amsterdam.27 Il Conte si recherà più volte a Los Angeles, tuttavia, il viaggio avvenuto nell’autunno del 1973, probabilmente il primo, ha un impatto determinante sui successivi sviluppi della collezione nell’ottica di tali ricerche ambientali.28 Nell’arco di due anni Villa Menafoglio Litta, dimora del Conte a Varese, diviene, infatti, una vera e propria residenza per alcuni di questi artisti. Primi fra tutti Irwin e Turrel sono chiamati da Panza per progettare opere pensate appositamente per le scuderie della Villa; mentre la collezione si amplia grazie all’acquisto di Negative Light Extensions with the given daylight and with the given sound in a city, un ambiente realizzato da Nordman nel 1973 a Newport Beach e acquistato direttamente dall’artista nello stesso anno, e Zero Mass, 1972-1973 di Orr proveniente dalla galleria di Los Angles Cirrus Gallery tramite la quale Panza la compra nel 1974.29 È probabilmente a questo momento che si può ricondurre l’incarico affidato da Panza a Celant per la redazione di una monografia dedicata alla sua raccolta. Già avviato dal critico nel 1974, si tratta di un lavoro dalla lunga gestazione che vedrà la luce solo nel 1980 [fig. 3].30
fig. 3 Copertina di Germano Celant,
Das Bild einer Geschichte 1956/1976.
Die Sammlung Panza di Biumo.
Die Geschichte eines Bildes Action painting, Newdada,
Pop art, Minimal art, Conceptual Environmental art, Milano, 1980.
Centrale nella ricostruzione degli eventi è un’intervista di Celant a Panza, datata settembre 1974, che compare tra le fonti annoverate nel saggio pubblicato a introduzione del volume. Il testo registra la chiara intuizione da parte di Celant delle potenzialità insite nell’operazione intrapresa dal Conte che, a prescindere dalle singole opere acquisite, pone questioni di più ampio respiro a partire dalla modalità per esperirle. «All’inizio la collezione era assieme ai mobili, ogni artista era legato, dato che nell’appartamento non aveva il suo spazio, agli oggetti. […] Che tipo di lettura dava a questo rapporto e perché le interessava questo rapporto?», a questa domanda del critico, Panza risponde: «Perché ho sempre concepito l’ambiente come una unità. Quando l’occhio guarda un quadro, non può fare a meno di vedere gli oggetti che circondano il quadro, e tutto contribuisce a potenziare o a diminuire l’impressione che uno ha del quadro».31
Nell’estate dello stesso anno la rivista “DATA” accoglie un articolo a firma di Giuseppe Panza di Biumo intitolato Environmental Art Museum: il collezionista rende nota la sua volontà di creare un museo dedicato alle opere ambientali di sua proprietà che, per via della loro natura, prevedono un «coinvolgimento psicofisico» dello spettatore. Il testo è illustrato da uno schema [fig. 4], una sorta di pianta di tale utopica istituzione progettata su tre piani con sale – la cui superficie è calcolata a seconda delle opere ipoteticamente ospitate – dedicate a uno o più lavori dello stesso artista, tra i quali figurano i californiani Irwin e Asher, oltre a Nauman.32
A questa data la collezione si compone di un numero notevole di opere, 700 ricorderà il collezionista,33 una quantità tale da spingere Panza a intessere accordi con amministrazioni locali, tra cui quella di Mönchengladbach, al fine di realizzare il suo progetto di museo.34 Vista tale congiuntura, non stupisce, dunque, che sentisse la necessità di dar visibilità alla sua collezione tramite la pubblicazione di una monografia, trovando in Celant l’interlocutore adeguato.
fig. 4 Giuseppe Panza di Biumo, progetto per
Environmental Art Museum, pubblicato in
Giuseppe Panza di Biumo, “Environmental Art Museum”,
in DATA, n. 12, estate 1974, p. 29.
L’articolo su “DATA” da una parte introduce nel lessico della critica italiana il termine classificatorio di environmental art, il cui utilizzo sarà sancito, non a caso, dal successivo progetto celantiano,35 dall’altra l’aspirazione museale – di cui Villa Menafoglio iniziava a esserne il laboratorio – e in generale la concezione di un display in cui opere e spazio diventano intrinsecamente dipendenti e inseparabili, entrambi elementi già ben formulati in questo testo, germineranno nel dispositivo curatoriale messo a punto per Ambiente/Arte.
«Dear Mr. and Mrs. Panza, I am writing to tell you that Germano Celant came by Cirrus last week and was very interested in Eric Orr’s piece. He is arranging for Eric to show it at Salvatore Ala in Milano in January. When we spoke, you indicated that you did not object to the piece being shown, but I wanted to let you know about this as soon as possible»
così Jean R. Milant, gallerista proprietario di Cirrus Gallery, avamposto del panorama losangelino nato quattro anni prima, scrive ai signori Panza il 5 novembre 1974.36
La lettera, oltre a fornire un’interessante triangolazione di rapporti, certifica con buona precisione il primo viaggio in California del critico genovese, avvenuto verosimilmente dopo l’intervista a Panza tra settembre e novembre.37 La suggestione in Celant derivante dall’esperienza di questi lavori deve essere stata tale che egli, riconoscendone il potenziale e la novità,38 inizia quasi immediatamente a promuovere in Italia le ricerche di tali artisti, incoraggiando la circolazione delle loro opere e facilitando rapporti di tipo commerciale: a Milano la galleria di Ala ospiterà, a partire dal 16 gennaio 1975, l’ambiente di Orr Zero Mass, 1972-1973, e a strettissimo giro, il 26 febbraio dello stesso anno, sempre Ala, presenterà SA MI DW SM 2 75 Continuum Atmospheric Environment, 1975 di Doug Wheeler.
Dopo una conferenza, Asher Irwin Nauman Orr Turrell Wheeler e/o arte come esperienza dell’esperienza, che Celant tiene il 26 febbraio 1975 a Bari alla Galleria Marilena Bonomo,39 e un secondo viaggio – avvenuto probabilmente intorno alla primavera del medesimo anno –40 il critico inizia a restituire l’esperienza losangelina sui numeri di giugno di “Domus” e “Casabella”. Entrambi gli articoli principiano con la descrizione della città, un contesto non accessorio ai fini della corretta comprensione delle pratiche artistiche su cui si soffermerà.41
Secondo Celant l’individuo come risposta a tale ambiente, nel quale sembra impossibile la configurazione di uno spazio personale, sente la necessità di fare esperienza di sé; un’esigenza condivisa da Asher, Nauman, Irwin, Orr, Turrell, Nordman e Wheeler, alla quale cercano di fornire una risposta proponendo nelle loro opere «una dimensione individuale ed energetica su scala umana», ovvero «spazi percettivi» la cui finalità è il «rinvenimento» della propria percezione sensoriale.42 Questi artisti configurano, dunque, delle esperienze estetiche tramite la creazione di ambienti nei quali il visitatore è invitato a ricercare una nuova dimensione individuale. Si tratta di una pratica le cui ragioni sono da ricercarsi nel carattere della città: il loro comun denominatore, afferma Celant, ovvero «l’esigenza di determinare non tanto le costanti ambientali quanto un ambiente costruito sulla propria esperienza di ambiente», «risiede nella vita della stessa California, o meglio di Los Angeles».43
In entrambi gli articoli il critico non entra nel merito della ricerca di ciascun artista – affondo presente nel volume edito da La Biennale di Venezia nel 1977 – fornendo, invece, una disamina dei comuni attributi. Le opere, sovente volumi autonomi rispetto al contesto spaziale in cui si collocano, sono caratterizzate dalla «mancanza di punti di riferimento, quali angoli o pareti», oppure dall’utilizzo «di pigmenti afisici e di materiali anecoici, capaci di eliminare il senso del limite fisico e sonoro», scelte che le rendono nell’atto dell’esperire «aspaziali» e adimensionali.44 Differiscono da quelle ambientali europee, cariche di implicazioni ottiche, proprio per l’eliminazione ai «rimandi» alle «immagini del mondo, così da far sì che la periferia del corpo non realizzi o riduca l’esperienza sugli oggetti esterni e si concentri sul corpo o sul suo modo di esperire i fatti naturali semplici: suono e luce».45 Asher, Nauman, Irwin, Orr, Turrell, Nordman e Wheeler propongono nei loro lavori una via alternativa «al pieno informativo occidentale» al quale oppongono un vuoto e un’assenza, secondo Celant, di matrice orientale. Le loro opere sollecitano una risposta sensoriale il cui fine è la sensorialità stessa: «ogni spazio, a seconda del grado di riduzione o espansione dei fenomeni semplici, permette poi la “discesa in sé”. […] il visitatore ha un’esperienza il cui soggetto stesso è la stessa esperienza o la maniera di esperire istantanea»,46 da cui il titolo del contributo su “Casabella”, Arte come esperienza dell’esperienza.
Si rileva, inoltre, come nella recente pubblicazione Ricordi di un collezionista, Panza di Biumo restituisca un’esperienza di Los Angeles a tratti simile a quella di Celant, sia per le peculiarità della città messe in luce, sia per il riferimento alla cultura buddista del Giappone che considera, insieme al contesto naturale della California, uno degli elementi che hanno indirizzato le ricerche di tali artisti verso l’introspezione:
«È stata la vicinanza del deserto, la sua potente attrazione, per chi cerca il punto iniziale, a proporre la soluzione. È un’immensità di luce. La luce è visione, è conoscenza. La solitudine dell’individuo si trasforma in partecipazione con un’entità che supera la divisione tra la vita e la morte, il tempo e la permanenza […] In che modo si poteva ripetere un’esperienza così radicale e assoluta, in una stanza, in mezzo a una città dove milioni di uomini vivono e si muovono?».47
Se questi articoli su “Casabella” e “Domus” costituiscono una generica restituzione della fascinazione subita visitando la città ed esperendo le opere di alcuni artisti che lì risiedono, bisogna giungere al contributo Artspaces, pubblicato sul numero di settembre-ottobre 1975 di “Studio international”, per comprendere l’apporto che l’immersione nella cultura losangelina ha nell’elaborazione critica-teorica di Celant.48 L’articolo, come di recente notato da Lara Conte, «traccia la preistoria di una modalità operativa ambientale, ipotizzando una duplice genealogia, storica e modernista, con aperture geografiche e creando attraversamenti linguistici, cronologici e culturali»;49 intuizione che la mostra Ambiente / Arte riuscirà solo parzialmente a realizzare.50 Le ricerche degli artisti californiani appaiono nella seconda metà del testo sotto il lemma «Experience Space»,51 con il quale Celant amplia le precedenti dissertazioni ribadendo la loro localizzazione geografica. In Artspaces per la prima volta queste pratiche sono inserite in una trattazione di ampio respiro dedicata alle ricerche ambientali, di cui propone una definizione e un inquadramento teorico supportati dalla costruzione di una storia dell’ambiente partendo dai mosaici di Galla Placidia, passando alle ricerche delle avanguardie di inizio Novecento fino alla contemporaneità. Il testo, oltre a presentare una rilettura di alcune vicende artistiche alla luce dei viaggi sulla West Coast, segna un cambio di passo dal punto di vista dell’elaborazione critica di questo tema, diventando il precedente imprescindibile per la successiva esperienza alla Biennale di Venezia.
Nel 1976 vede la luce Precronistoria 1966-69, edito da Centro Di: progetto celantiano nato al fine di tracciare «la pre-historia» – secondo il critico individuabile nei quattro anni menzionati nel titolo – «della minimal art, della conceptual art, della land art, dell’arte povera, della body art, dell’arte ambientale, della pittura sistemica e dei nuovi media […] affermatisi definitivamente negli anni settanta».52 Come ricostruito da Maria Corti, il volume, nato nel 1972, vede una prima e sintetica stesura nel 1973 con il titolo First Notes for a Chronology in una brossura pubblicata da Franco Toselli.53 Ciò che emerge non è tanto la sinteticità di questo primo testo rispetto alla successiva pubblicazione del 1976, spiegabile con la sua natura di “prime note”, quanto l’assenza di menzioni a qualsiasi tipo di evento collettivo fondativo per i successivi sviluppi dell’arte ambientale californiana. Si tratta di una lacuna che Celant colma nella stesura finale, avvenuta probabilmente dopo l’esperienza a Los Angeles, citando sinteticamente la partecipazione di Wheeler e Irwin alla mostra al Forth Worth Art Center nel 1969, di Orr e Asher a 18’6’’ x 6’9’’ x 11’2(1/2) x 11’3/16 x 29?1/2 x 31? – 9’3/16’’, collettiva organizzata sempre nel 1969 da Eugenia Butler a San Francisco e sempre di Asher a The Appearing/Disappearing Image Object, a cura di Tom Graver al Newport Harbor Museum a Balboa.54 La simultaneità di Precronistoria 1966-69 con il progetto veneziano mostra, da una parte, quanto l’incontro con le pratiche californiane fosse significativo per Celant e, dall’altra, l’urgenza di includerle nel proprio orizzonte critico conferendovi in primo luogo legittimità storica.
Il viaggio a Los Angeles porta, pertanto, a maturazione una riflessione iniziata da Celant alla fine degli anni Sessanta quando nel 1967, in occasione della mostra Lo spazio dell’immagine, formula la sua idea di im-spazio. Nelle ricerche prese in esame in quel momento individuava uno spostamento dell’immagine dal «significare lo spazio» all’«essere lo spazio»,55 un asse interpretativo che nel volume del 1977, Ambiente / Arte dal Futurismo alla Body Art, viene indicato come «il nocciolo dell’arte degli anni Settanta», momento in cui gli artisti sentono «l’urgenza di togliere tutti gli involucri fisici all’esperienza personale per riconoscerla ricca per sé stessa».56 La completa realizzazione di tali aspirazioni trova piena attuazione, secondo Celant, proprio nelle ricerche di Asher, Nauman, Irwin, Nordman, Turrell, Wheeler e Orr: «Gli anni Settanta si aprono […], in particolare in California, con una coscienza di esperienza senza memoria e senza traccia, i cui rimandi risiedono solo nella persona».57 Le loro opere non sono più «oggetti da toccare e da guardare» e nemmeno una «astrazione concretizzata» con cui «smaterializzare e […] esaltare il vuoto e l’energia».58 Queste sganciandosi completamente da un’idea di spazio legata alla dimensione della scultura, quindi dalla necessità di doversi relazionare ad altri sistemi linguistici, come anche quello dell’architettura, e da una concezione dell’esperienza artistica di tipo contemplativo, diventano spazio, environment, evento estetico, esperienza dell’esperienza.
Note
1. Germano Celant, “Arte ambientale californiana. Asher, Nauman, Irwin, Orr, Turrell, Nordman, Wheeler”, Domus, n. 547, giugno 1975, p. 52.
2. Germano Celant, “Arte come esperienza dell’esperienza. Asher, Nauman, Irwin, Nordman, Turrell, Wheeler, Orr”, Casabella, n. 402, giugno 1975, pp. 46-47.
3. Germano Celant, “Ambiente/Arte”, in B76. La Biennale di Venezia. Ambiente, Partecipazione, Strutture culturali. Catalogo generale (catalogo della mostra, Venezia, Biennale di Venezia, 18 luglio – 10 ottobre 1976), vol. I, Edizioni La Biennale di Venezia, Venezia, 1976, pp. 187-201; l’impianto critico della mostra è approfondito in Germano Celant, Ambiente / Arte dal Futurismo alla Body Art, Edizioni La Biennale di Venezia, Venezia, 1977. Il progetto espositivo vide la partecipazione di soli cinque dei setti artisti californiani con l’esclusione di Turrell e Orr; mentre nella successiva pubblicazione a tutti è dedicato un cammeo monografico. Ambiente/Arte. Dal Futurismo alla Body Art è stata oggetto di diversi approfondimenti accademici che costituiscono la bibliografia più accreditata dedicata all’argomento; per una disamina approfondita circa le specificità di tale mostra si rimanda ai seguenti contributi: Alessandra Acocella, “Ripensare lo spazio espositivo. Il caso di Ambiente/Arte, Biennale di Venezia, 1976”, in Francesca Castellani e Eleonora Charans (a cura di), Crocevia Biennale, Scalpendi Editore, Milano, 2017, pp. 257-267; Vittoria Martini, “Il canone espositivo e il caso di Ambiente/Arte”, Ricerche di S/Confine, n. 4, 2018, pp. 297-306; Simone Zacchini, “Lo spazio espositivo come “campo topologico” e la questione della site-specificity: la mostra Ambiente/Arte di Germano Celant e il caso Bruce Nauman (1976)”, in Gloria Antoni, Matteo Chirumbolo, Gianluca Petrone e Célia Zuber (a cura di), Inside the exhibition. Temporalità, dispositivo, narrazione, Artemide, Roma, 2022, pp. 163-178; Lara Conte, “Ambiente/Arte alla Biennale del 1976: tra esperienza immersiva e pratica dell’Archivio”, in Germano Celant. Cronistoria di un critico militante, atti del convegno, sedi varie, 2022-2023, Skira, Milano, 2025, pp. 390-405.
4. Germano Celant, “All’interno di Ambiente/Arte. Introduzione/intervista a Germano Celant”, in Germano Celant, Ambiente / Arte. Dal Futurismo alla Body Art. Biennale Arte 1976, La Biennale di Venezia, Venezia, 1977, p. V.
5. Lara Conte, Materia, corpo, azione. Ricerche artistiche processuali tra Europa e Stati Uniti 1966-1970, Electa, Milano, 2010; Raffaele Bedarida, Export / Import: The Promotion of Contemporary Italian Art in the United States, 1935-1969, CUNY Academic Works, 2016; Raffaele Bedarida, “Transatlantic Arte Povera”, in Sharon Hecker e Marin R. Sullivan (a cura di), Postwar Italian Art history. Untying ‘the Knot’, Bloomsbury Visual Arts, New York-Londra, 2018, pp. 277-294; Lara Conte e Michele Dantini (a cura di), Narrazioni atlantiche e arti visive 1949-1972. Sguardi fuori fuoco, politiche espositive, identità italiana, americanismo/antiamericanismo, Mimesis, Milano-Udine, 2024.
6. Il termine Light and Space compare precocemente in seguito alle mostre curate John Coplans, direttore del Pasadena Art Museum, quando tra il 1967 e 1968 organizza una di seguito all’altra le personali di Turrell, Irwin e Wheeler. Cfr. William R. Hackman, “Cronologia di Los Angeles”, in Lars Nittve e Helle Crenzien (a cura di), Sunshine & Noir. Art in L.A. 1960-1997 (catalogo della mostra, Humlebaek, Louisiana Museum of Modern Art, 16 maggio – 7 settembre 1997; Rivoli-Torino, Castello di Rivoli, Museo d’Arte Contemporanea, 8 maggio – 23 agosto 1998; Wolfsburg, Kunstmuseum Wolfsburg, 15 novembre 1997 – 1° febbraio 1998; Los Angeles, UCLA at the Armand Hammer Museum of Art and Cultural Center, 7 ottobre 1998 – 3 gennaio 1999), Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino, 1998, p. 21.
7. Mi riferisco a Bas Jan Ader, Marcia Hafif, Eleonor Antin o Edward Kienholz, quest’ultimo tra gli artisti menzionati in Celant, Ambiente / Arte dal Futurismo alla Body Art, 2020, pp. 87, 98 fig. 163.
8. Una figura centrale per comprendere l’interesse di Celant per il panorama artistico statunitense è sicuramente Eugenio Battisti con il quale il critico genovese continua un rapporto epistolare anche dopo il trasferimento di quest’ultimo oltreoceano nel 1965, dove inizia a insegnare presso la Penn State University: Gianlorenzo Chiaraluce, Eugenio Battisti, «Marcatrè» e gli Stati Uniti d’America, tesi di dottorato, Sapienza Università di Roma, A.A. 2019-2020.
9. Mostra n. 22. Marcello Morandini, bollettino della Galleria del Deposito, Genova, 1965, verso.
10. Ibidem. Per una panoramica dedicata alla Galleria del Deposito: Sandra Solimano (a cura di), La Galleria del Deposito. Un’esperienza d’avanguardia nella Genova degli anni ’60 (catalogo della mostra, Genova, Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce, 2 aprile – 15 giugno 2003), Neos edizioni, Genova, 2003.
11. Circa l’attività di Celant in relazione alla Galleria del Deposito di Genova si ricordano i seguenti testi apparsi sul notiziario della galleria: “Otto oggetti”, in Mostra n. 22. Marcello Morandini, 1965; “Jesus Rafael Soto”, in Mostra n. 25. Jesus Rafael Soto, bollettino della Galleria del Deposito, Genova, 1966; “Frammenti”, in Mostra n. 30. Agostino Bonalumi, bollettino della Galleria del Deposito, Genova, 1966; “Umberto Bignardi”, in Mostra n. 34. Umberto Bignardi, bollettino della Galleria del Deposito, Genova, 1967. Il nome di Celant comparte tra i soci del Gruppo Cooperativo di Boccadasse su Mostra n. 28. Remo Remotti, bollettino della Galleria del Deposito, Genova, 1966, verso.
12. Butler diventa di lì a poco partner di Riko Mizuno: John Tain, “Riko Mizuno”, in Rebecca Peabody, Andrew Perchuk, Glenn Phillips e Rani Singh (a cura di), Pacific Standard Time. Los Angeles Art 1945-1980 (catalogo della mostra, Los Angeles, J. Paul Getty Museu, 1° ottobre 2011 – 5 febbraio 2012; Berlin, Martin-Gropius-Bau, 15 marzo – 10 giugno 2012), Getty Publications, Los Angeles, 2011, p. 180. Una missiva di Eugenia Butler a Germano Celant del 8 marzo 1969 in cui la gallerista lo informa, tra l’altro, delle ricerche di Allen Ruppersberg testimonia la conoscenza tra i due (Milano, Archivio Celant, d’ora in poi AGC).
13. Fernanda Pivano e Ettore Sottsass jr, “Viaggio a Occidente: nr.1. Che cosa fanno lì dentro?”, Domus, n. 436, marzo 1966, pp. 42-42; Piero Gilardi, “Diario da New York”, Flash Art, n. 3-4, settembre 1967, p. 3; Piero Gilardi, “Diario da New York”, Flash Art, n. 5, novembre-dicembre 1967, p. 3.
14. Per una parziale ricostruzione del ruolo svolto da Leering e de Wilde nella promozione e circuitazione delle opere ambientali degli artisti californiani: Germano Celant, Doug Wheeler, David Zwirner Books, New York, 2019.
15. Fischer cura insieme a Hans Strelow l’edizione del 1968 e del 1969 di Prospect a Düsseldorf e insieme a Rolf Wedewer Konzeption-Conception. Dokumentation einer heutigen Kunstrichtung al Städtisches Museum a Leverkusen: AA. VV., The Konrad Fischer Years / 1964-1978, Herbert Foundation, Ghent, 2019.
16. Joan Simon (a cura di), Bruce Nauman (catalogo della mostra, Madrid, Museo Macional Centro de Arte Reina Sofía, 30 novembre 1993 – 21 febbraio 1994; Minneapolis, Walker Art Center, 10 aprile – 19 giugno 1994; Los Angeles, The Museum of Contemporary Art, 17 luglio – 25 settembre 1994; Washington, D.C., Hirshhorn Museum and Sculpture Garden, Smithsonian Institution, 3 novembre 1994 – 29 gennaio 1995; New York, The Museum of Modern Art, 1° marzo – 23 maggio 1995), Walker Art Center, Minneapolis, 1994.
17. Francesco Guzzetti, “«He was really into artists’ book»: I libri d’artista della Galleria Sperone, 1970-1975”, Studi di Memofonte, n. 28, 2022, pp. 243-302.
18. Germano Celant, “Bruce Nauman”, Casabella, n. 345, febbraio 1970, pp. 38-41. La conoscenza tra Nauman e Celant è testimoniata, inoltre, da una fotografia scattata nel 1970 da Paolo Mussat Sartor che li immortala insieme a Torino nello spazio di Gian Enzo Sperone: AA.VV., Paolo Mussat Sartor (catalogo della mostra, Torino, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, 19 maggio – 24 settembre 2006), Edizioni Fondazione Torino Musei – GAM Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino, 2006, p. 51.
19. Robert Irwin /Doug Wheeler: New Works era in realtà una mostra itinerante, nata al Forth Worth Community Arts Center e poi giunta allo Stedelijk Museum di Amsterdam dopo la tappa alla Corcoran Gallery a Washington DC, alla quale risulta che Wheeler non partecipò: “Selected Exhibition History. One-Person and Group Exhibitions, 1960-1980”, in Robin Clark (a cura di), Phenomenal: California light, space, surface (catalogo della mostra, San Diego, Museum of Contemporary Art, 25 settembre 2011 – 22 gennaio 2012), University of California Press/The Museum of Contemporary Art, Berkeley/Los Angeles/San Diego, 2011, pp. 174-213.
20. Prospect 69 (giornale della fiera, Düsseldorf, Kunsthalle, 30 settembre-12 ottobre 1969), Düsseldorf, 1969, p. 23. Douglas Christmas, direttore della galleria ACE di Los Angeles, già a partire del 1969 è in contatto diretto con Giuseppe Panza di Biumo per la vendita di opere di Doug Wheeler.
21. “Selected Exhibition History. One-Person and Group Exhibitions, 1960-1980”, in Clark (a cura di), Phenomenal: California light, space, surface, 2011, pp. 174-213.
22. Franco Toselli nell’inverno del 1972 viaggia a New York per poi spostarsi a Los Angeles, dove incontra John Baldessari, Maria Nordman, Michael Asher e James Turrel. Cfr. Germano Celant, + spazi. Le gallerie Toselli, Johan & Levi, Monza, 2019, p. 228; per le mostre di Asher e Nordman, pp. 310-315, 362-365.
23. I contatti con Michael Heizer risalgono al 1969: «Dear Mr. Celant, I believe that Dwan Gallery has sent you the material […] you requested», cartolina inviata da Heizer a Celant con timbro postale recante la data 16 gennaio 1969 (AGC).
24. Germano Celant (a cura di), Conceptual Art Arte Povera Land Art (catalogo della mostra, Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna, 12 giugno – 26 luglio 1970), Galleria Civica d’Arte Moderna, Torino, 1970.
25. AGC, Lettera di Germano Celant a John Baldessari, 6 ottobre 1970.
26. Giuseppe Panza, Ricordi di un collezionista, Jaca Book, Milano, 2006, pp. 123-124. In questo volume Panza ricorda di aver conosciuto Celant tra la fine degli anni Sessanta e inizio degli anni Settanta. Da parte sua, Celant sostiene di aver conosciuto Panza tramite Leo Castelli. Cfr. In Honor of Giuseppe Panza di Biumo, tavolo rotonda, Art Basel, Basilea, 20 giugno 2010. La pubblicazione Conceptual Art Arte Povera Land Art fornisce, infine, un caposaldo in quanto il nome Panza è presente tra le persone che il curatore ringrazia per l’occasione.
27. Christopher Knight, “Intervista registrata con Giuseppe Panza a Los Angeles. Seconda giornata 3 aprile 1985”, in Arte anni sessanta settanta. Collezione Panza, Jaca Book, Milano, 1988, p. 43.
28. Michael Govan, Anna Bernardini (a cura di), Robert Irwin. James Turrel. Villa Panza (catalogo della mostra, Varese, FAI – Villa e Collezione Panza, 23 novembre 2013 – 2 novembre 2014), FAI – Villa e Collezione Panza/Los Angeles County Museum of Art/DelMonico/Prestel, Varese/Los Angeles, New York, 2013, p. 31. Celant nel settembre del 1974 intervista Panza in previsione della monografia dedicata alla collezione: Germano Celant, Das Bild einer Geschichte 1956/1976. Die Sammlung Panza di Biumo. Die Geschichte eines Bildes Action painting, Newdada, Pop art, Minimal art, Conceptual Environmental art, Electa, Milano, 1980; nella trascrizione di questa conversazione, conservata nell’archivio privato del critico, il collezionista afferma che due anni prima, dunque nel 1972, era riuscito a visitare lo studio di Turrell grazie a Heiner Friedrich. Successivamente Panza aggiungerà che, in occasione probabilmente di questo viaggio, grazie all’assistente di Friedrich, Helen Winkler, lui e la moglie Giovanna avevano sorvolato il deserto in un aereo turistico guidato da Turrell che li aveva condotti a un cratere vulcanico spento dove avrebbe voluto realizzare un’opera. Cfr. Panza, Ricordi di un collezionista, 2006, pp. 151-152.
29. Schede delle opere in Germano Celant e Susan Cross (a cura di), Venice / Venezia: Arte Californiana della Collezione Panza al Museo Guggenheim (catalogo della mostra, Venezia, Collezione Peggy Guggenheim, 2 settembre 2000 – 7 gennaio 2001), Guggenheim Museum Publications, New York, 2000, pp. 102-103.
30. Celant, Das Bild einer Geschichte 1956/1976, 1980.
31. AGC, Germano Celant, Giuseppe Panza di Biumo. Settembre 1974, testo dattiloscritto, p. 18.
32. Giuseppe Panza di Biumo, “Environmental Art Museum”, DATA, n. 12, estate 1974, pp. 28-33. Dal progetto schematico del museo si evince che Panza avesse acquistato l’opera realizzata l’anno precedente da Michael Asher per la galleria Toselli che qui è intitolata Toselli sanded room e alla quale è dedicata una sala.
33. Panza, Ricordi di un collezionista, 2006, p. 289.
34. Pierre Restany, “L’art au carré et au cube”, Domus, n. 537, agosto 1974, p. 47.
35. Roberta Serpolli, The Display of Art in the Panza di Biumo Collection, Università Ca’ Foscari di Venezia, Dottorato di ricerca in Storia delle Arti, A.A. 2012-2013, p. 34.
36. AGC, copia fotografica della lettera di Jean R. Milant ai signori Panza, 5 novembre 1974.
37. La conferma di questo viaggio si trova in una missiva di Wheeler il 12 novembre 1974 a Celant: «Dear Germano, First, I’d like to express what a refreshing pleasure it was to meet you – sincere straight-forward people in the artworld I’ve found quite a rarity. I’m sending the bibliography that I promised you, as well as a brief, hopefully not too unintelligible description of the space that I hope will become a reality in the place you described to me. […] Depending on if I can finance the light units and automatic dimmer – plus finishing my space here to refine it, will determinate if I indeed can come to Milan to do it» (AGC). Lo spazio in questione è la galleria di Salvatore Ala a Milano dove l’artista realizza SA MI DW SM 2 75 Continuum Atmospheric Environment, 1975, opera in visione a partire dal 26 febbraio 1975 e acquistata a strettissimo giro da Giuseppe Panza di Biumo; Celant, Doug Wheeler, 2019. Inoltre, Bas Jan Ader scrive a Geert van Beijeren e Adriaan van Ravenjstein il 3 marzo 1975: «I have a show at Saman gallery in Genoa. It’s more than possible that Germano Celant is involved somehow. I met him last Fall here in LA and he saw a recent work and a performance»; trascrizione della lettera inviata da Pedro de Liano nel 2019.
38. Rispetto all’esperienza in California Celant ricorderà: «Il libro», riferendosi qui al volume edito nel 1977, «porta in copertina la finestra/vetrina che era presente nello studio di Maria Nordman, a Santa Monica. Era stato il primo spazio senza oggetti di cui avevo fatto esperienza a Los Angeles. Consisteva in un negozio su strada completamente vuoto, a parte un pavimento rialzato in legno da cui si potevano estrarre gli utensili per vivere, dal letto alla teiera, e con una finestra rivolta sulla strada il cui vetro era a specchio all’esterno e normale all’interno, così da poter vedere senza essere visti. Da questa finestra era possibile percepire l’esterno che diventava, dunque, un “quadro” che mutava ogni istante, ventiquattro ore su ventiquattro», da Germano Celant, “All’interno di Ambiente/Arte. Introduzione/intervista a Germano Celant”, in Celant, Ambiente/Arte. Dal Futurismo alla Body Art. Biennale Arte 1976, 1976, p. X. Celant si riferisce qui a Pico II, 1972, opera che doveva essere periodicamente aperta al pubblico. Cfr. Ute Eskildsen (a cura di), Maria Nordman. De sculptura II (catalogo della mostra, Essen, Museum Folkwang, 23 febbraio-20 aprile 1997), Cantz, Ostfildern-Ruit, 1997, pp. 10, 66-69.
39. Sul primo notiziario Saman pubblicato dalla galleria diretta da Ida Gianelli, Samangallery di Genova, nel marzo/aprile 1975 si legge: «Ambienti dalla California. Irwin, Turrel, Nauman, Wheeler, Orr e Asher sono gli artisti californiani su cui attualmente sta vertendo l’attenzione della critica, del mercato e del collezionismo. A Milano, da Franco Toselli e da Salvatore Ala sono stati realizzati gli ambienti di luce e di suono di Asher, Nordman, Wheeler ed Orr. Da Marilena Bono[mo], a Bari, Germano Celant ha tenuto una conferenza dal titolo “Asher Irwin Nauman Nordman Turrel Wheeler Orr e/o arte come esperienza dell’arte”», Saman, n. 1, marzo/aprile 1975, verso (Paris, Centre Pompidou, Bibliothèque Kandinsky, Fonds Ida Gianelli, GIA 7).
40. Massimo Vitta Zelman, allora direttore di Electa, scrive a Celant il 6 maggio 1975: “la tua lettera del 19 aprile ha messo parecchio tempo ad arrivare dalla California” (AGC).
41. Per la descrizione della città si rimanda alle citazioni riportate in apertura al presente articolo.
42. Celant, “Arte ambientale californiana”, 1975, p. 52.
43. Celant, Ambiente / Arte dal Futurismo alla Body Art, 1977, p. 121.
44. Celant, “Arte ambientale californiana”, 1975, p. 52.
45. Celant, “Arte come esperienza dell’esperienza”, 1975, p. 48.
46. Celant, “Arte ambientale californiana”, 1975, p. 52.
47. Panza, Ricordi di un collezionista, 2006, pp. 143-164 (in particolare pp. 146-147).
48. Germano Celant, “Artspaces”, Studio International, n. 977, settembre-ottobre 1975, pp. 115-123.
49. Lara Conte, “Ambiente/Arte alla Biennale del 1976”, 2025, p. 394. In questa «Background history», Celant inserisce i mosaici di Galla Placidia, la Camera degli Sposi di Mantegna, fino ai templi Aztechi e le piramidi egizie, individuando, invece, una cesura nel XIX secolo con l’avvento della «bourgeois-technological age», da Celant, “Artspaces”, 1975, p. 116. Anche Panza alla fine degli anni Ottanta proporrà un affondo similare: «l’arte Ambientale […] ha relazioni molto antiche, dai cerchi di pietra della preistoria, alle navate delle cattedrali gotiche dove l’ombra nasconde le forme delle volte, la luce colorata delle vetrate si riflette sul pavimento. I ritmi delle forme nelle chiese del Brunelleschi. Le prospettive infinite dei giardini di Le Nôtre», in Giuseppe Panza di Biumo, “Irwin artista della percezione”, in L’Umana Avventura, Editoriale Jaca Book, Milano, autunno 1987, p. 99.
50. «Brutte notizie per quanto riguarda l’ambiente esterno, tutto il materiale sui disegni peruviani è in Inghilterra ed è vincolato sino al mese di settembre, è quasi impossibile raggiungere i landartists, sono in Nevada, foto e disegni di difficile reperimento e in giro per musei (vedi Smithson)». Cfr. Porto Marghera, ASAC, Fondo Storico, serie Arti Visive, busta 248, lettera di Germano Celant a Vittorio Gregotti, 22 febbraio 1976.
51. Nella seconda metà dell’articolo Artspaces Celant tenta di fornire una tassonomia delle ricerche successive al 1945 che nel volume del 1977 sarà sostituita da una suddivisione storica per movimenti.
52. Germano Celant, Precronistoria 1966-69, Centro Di, Firenze, 1976, p. 7.
53. Germano Celant, “First Notes for a Chronology”, in An Exhibition of New Italian Art, Franco Toselli, Milano, 1973. Per una disamina relativa alla nascita del volume Precronistoria 1966-69 anche in relazione all’esperienza dell’Information Documentation Archives si rimanda a Maria Corti, “La “pratica documentaria” di Germano Celant: dall’Information Documentation Archives ai progetti editoriali”, in Germano Celant. Cronistoria di un critico militante, 2025, pp. 284-297.
54. Celant, Precronistoria 1966-69, 1976, pp. 109-110, 119, 132.
55. Germano Celant, “L’“im-spazio”, in Lo spazio dell’immagine (catalogo della mostra, Foligno, Palazzo Trinci, 2 luglio – 1° ottobre 1967), Alfieri Edizioni d’Arte, Venezia, 1967, p. 20.
56. Celant, Ambiente / Arte dal Futurismo alla Body Art, 1977, p. 123.
57. Ibidem.
58. Ibidem.